THE BRUTALIST, la recensione di Matteo Strukul del film di Brady Corbet con uno straordinario Adrien Brody in concorso all’81a edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
THE BRUTALIST – in concorso per il Leone d’Oro all’81ma edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia – è un film meraviglioso, girato interamente in 70 mm, di oltre tre ore e mezza. Un’opera ambiziosa, complessa, colta che ha richiesto sette anni per essere prodotta e girata.
Ha per protagonista Laszlo Toth – uno straordinario Adrien Brody – architetto ebreo ungherese, liberato da Auschwitz e giunto nell’immediato dopoguerra in Pennsylvania. Qui, dopo mille difficoltà, Laszlo trova una via di salvezza nella committenza che il miliardario Harrison Lee van Buren, interpretato magnificamente da Guy Pearce, gli affida poco fuori Philadelphia. Sembra un nuovo inizio per Laszlo ma difficoltà e drammi non mancheranno.
Una saga monumentale
È una saga monumentale quella raccontata, attraverso una formidabile sceneggiatura, da Mona Fastvold e Brady Corbet che fa emergere con chiarezza temi di straordinaria importanza: l’olocausto, il nazismo, l’emigrazione, il capitalismo, il confronto fra culture e religioni.
Su tutto, la colossale sfida per un architetto, formatosi con il Bauhaus, di realizzare un imponente e vasto edificio comprensivo di una biblioteca, una chiesa, una palestra e un centro culturale a celebrare la figura dell’amata madre di van Buren. Accolto dal proprio benefattore nella sua tenuta, e finanziato in tutto e per tutto, Laszlo crede di aver trovato la più straordinaria delle opportunità, tanto più perché un potente avvocato, amico di van Buren si attiva con il proprio studio legale per fare in modo che sua moglie e sua nipote, a lungo detenute nel carcere di Dachau, possano finalmente raggiungerlo in Pennsylvania.
Eppure, mentre i lavori procedono, non mancano i conflitti, le incomprensioni, le sfortune, i gesti di rabbia e la tensione crescente è molto ben sintetizzata dalla battuta pronunciata da Harry Lee van Buren, figlio del tycoon, all’indirizzo di Laszlo: “Ricorda che in questa casa siete tollerati”, dice a un certo punto, riferendosi all’architetto e alla sua famiglia.
Un film visivamente epico
Inutile dire che le tragedie vissute da Laszlo e da sua moglie nei campi di sterminio non sono state prive di conseguenze: Erzsebeth è in sedia a rotelle e l’architetto ha maturato una dipendenza dall’oppio, gli incubi sono all’ordine del giorno così come la necessità di bilanciare il desiderio di rivincita e affermazione con la gratitudine e il compromesso.
Visivamente potente ed epico, scritto in modo colto e raffinato, recitato davvero bene grazie a un cast che annovera anche Felicity Jones nel ruolo di Erzsebet Toth e Stacy Martin nel ruolo di Maggie van Buren, The Brutalist si candida a essere uno dei film più accreditati per andare a premio.
Uno straordinario Adrien Brody
Per certi versi, Adrien Brody trova un’altra interpretazione straordinaria, paragonabile a quella fornita in The Pianist, complici forse alcune interessanti analogie: qui come lì il personaggio interpretato è legato al mondo dell’arte – architettura e musica – qui come lì il protagonista è un Ebreo sopravvissuto all’olocausto, qui come lì il film è di proporzioni sontuose. L’intensità interpretativa di Brody in The Brutalist è straordinaria, l’attore recita in Ebraico, Ungherese, Inglese dall’accento fortemente influenzato dai due idiomi precedenti, e perfino un po’ di Italiano.
Brady Corbet rivela una regia molto personale: forte, tesa, titanica, come nella sequenza dedicata alle cave di marmo di Carrara, ma anche intima, dolce e poi cruda, spietata, feroce. È un film che difficilmente può lasciare indifferenti e la notevole lunghezza non rappresenta un problema tanto è avvincente l’intera storia della famiglia Toth.
È un film sorprendente e scioccante. È un film che non si dimentica.