The Green Border (Il confine verde), la recensione di Giacomo Brunoro del film di Agnieszka Holland in concorso all’80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
The Green Border (Il confine verde, titolo originale Zielona Granica) è uno di quei film che non si dimenticano. Un film destinato a restare.
Ho avuto la fortuna di essere in Sala Grande al Palazzo del Cinema per la prima mondiale con tutto il cast in sala. L’ovazione che è scoppiata a fine proiezione è stata qualcosa di liberatorio: quindici minuti di applausi infiniti con tutta la sala in lacrime che rendeva omaggio a una donna di 74 anni e al suo lavoro.
Holland ha portato a Venezia un’opera potente, struggente. Un’opera che è un atto d’accusa dichiarato contro la non gestione dei flussi migratori da parte dell’Europa e contro l’ipocrisia di chi utilizza i corpi, le vite e le speranze delle persone come se fossero carriarmatini di un’indegna partita a Risiko.
Il confine tra Polonia e Bielorussia
The Green Border racconta il calvario dei rifugiati e dei migranti costretti a vivere nei boschi tra Polonia e Bielorussia, in una terra di nessuno che ti condanna inevitabilmente alla perdita di ogni umanità e alla morte. I bielorussi infatti scaricano i migranti in Polonia dove vengono intercettati dall’esercito che li ributta (letteralmente) oltre confine.
E così riparte questo crudele loop in una assurda dimensione atemporale, con dei poveri disperati costretti a vivere l’angoscia di una fatica di Sisifo apparentemente interminabile.
Tanti i parallelismi con Io Capitano di Garrone, in concorso qui a Venezia 80, soprattutto nella scelta fatta dai due registi di raccontare storie e di non fare lezioni.
Con The Green Border Holland ha girato un film sulla lotta per restare umani (come ha fatto Garrone), un film che non lascia indifferenti e che cresce lentamente, con una progressione di emozioni che diventano sempre più forti e intense.
Quella raccontata da Holland, a differenza di quanto fatto da Garrone, è però una storia corale. Una storia in cui si intrecciano vite e destini di persone che cercano un futuro migliore, di persone che sentono il bisogno di ribellarsi alle ingiustizie, di persone che hanno scelto di abbandonare ogni umanità. Persone che vivono al di qua e al di à del confine verde, ma anche di chi vive e muore tra quel confine.
Un racconto che non lascia spazio all’ideologia
Non c’è retorica né ideologia nel film di Holland (così come in quello di Garrone), cosa difficilissima quando si affronta una tematica così complessa.
Personalmente ho trovato pesante la scelta stilistica di affidarsi al bianco e nero per tutta la durata del film, scelta che forse invece di aumentare il realismo ottiene il risultato di rendere tutto un po’ più freddo. Ma si tratta davvero del classico pelo sull’uovo (va detto che quest’anno a Venezia il bianco e nero è stato gettonatissimo).
Da segnalare la magistrale interpretazione di Maja Ostaszewska che a mio avviso è una seria candidata alla Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile. L’attrice polacca ha dato vita a un personaggio complesso, tormentato dalla frustrazione di trovarsi di fronte a un dolore senza senso.
Un personaggio tremendamente umano e che, non riuscendo a trovare delle risposte sensate di fronte a tanta assurdità, decide di agire, di fare qualcosa, qualunque cosa. Decide di non restare a guardare come troppo spesso invece facciamo tutti noi.
The Green Border, acclamato da critica e pubblico, merita senza dubbio un premio qui alla Mostra del Cinema. Stiamo a vedere cosa deciderà la giuria…