The King, la recensione firmata dal nostro inviato speciale Matteo Strukul del film di David Michod con Thimothée Chalamet presentato fuori concorso alla 76a Mostra del Cinema di Venezia.

IL TRITTICO NETFLIX

Diretto da David Michod, che lo ha scritto insieme a Joel Edgerton, The King, presentato a Venezia fuori concorso, è un fior di film, e fa parte del trittico di pellicole targate Netflix che sono state presentate alla mostra.

Le altre due, in concorso, sono The Laundromat di Soderbergh e Marriage Story di Noah Baumbach.

IL CORAGGIO DI RILEGGERE SHAKESPEARE

La prima cosa che colpisce di The King è l’intelligenza e il coraggio degli autori nel voler rileggere e attualizzare Shakespeare, traghettandolo direttamente nel 2019. Chiaramente è un’operazione non semplice che era riuscita a Laurence Olivier con l’Enrico V tanti anni fa e, più di recente, a Kenneth Branagh di nuovo con l’Enrico V negli anni ‘90.

Ma sia detta una cosa: in quei casi, la fedeltà, quasi filologica, agli scritti del bardo tendeva a ingessare, quasi congelare, il film che pure rimaneva splendido, data anche e soprattutto la meraviglia del dramma e della pagina scritta.

L’unica volta in cui il teatro shakespeariano si era davvero fatto cinema era accaduto con il MacBeth di Roman Polanski, forse la pellicola più bella tratta dai drammi del bardo.

Michod e Edgerton però, con una discreta dose di incoscienza, e una felicità di scrittura notevole, scelgono una via ancora diversa che avvicina le figure di Enrico V e Fallstaff (che, pur citato nell’Enrico V, era in verità uno dei personaggi dell’Enrico IV e de Le allegre comari di Windsor) e che trova uno Shakespeare completamente nuovo, attualizzato, ribelle.

Non che non ci fosse tutto questo nella scrittura del più grande drammaturgo della storia, ci mancherebbe altro, ma è come se Michod e Edgerton prendessero i temi dell’amore, del tradimento, del coraggio, della fedeltà, dell’onore shakespeariani e li rileggessero in una chiave nuova, amplificando per esempio l’elemento della gioventù, del re ragazzo che intende portare un vento nuovo sulla terra d’Inghilterra per unirla e pacificarla, e, così facendo, liberarla dai fantasmi e dalle maledizioni della generazione che l’ha preceduto.

LE NUOVE STELLE

Per far questo la scelta di Thimothée Chalamet, che temevo azzardata, si rivela invece felice. L’attore di Call me by your Name porta sulle sue gracili spalle l’intero film, e lo fa davvero dall’inizio alla fine, ma non delude affatto, anzi convince una volta di più.

E se The King diventa in questo modo il classico Coming of Age, ebbene va detto che lo fa con una freschezza e una convinzione bellissime. Consigliato da Fallstaff, il suo miglior cavaliere – uno straordinario e guasconissimo Joel Edgerton – Enrico V finisce non solo per diventare re d’Inghilterra, suo malgrado, ma anche per invadere e sconfiggere la Francia.

Insieme a Chalamet, è giusto menzionare anche la bellissima prova attoriale di Robert Pattinson, nei panni di un bizzarro ed effeminato delfino d’Orléans e di Lily-Rose Depp, bellissima e coraggiosa regina di Francia.

Ne esce un trittico di giovani protagonisti che fanno la felicità delle migliaia di teenager che sono andati in visibilio durante il red carpet e che ora hanno finalmente la love story da sogni perché pare che sul set Thimothée Chalamet e Lily-Rose Depp si siano innamorati.

GUSTO DARK

Il film ha peraltro alcune sequenze di rara violenza e una battaglia finale nel fango talmente cruenta e dura da ricordarmi certe atmosfere alla Braveheart, pur essendo ambientata in un periodo diverso.

Ma sono anche gli intrighi di palazzo, le cospirazioni, le congiure a rendere particolarmente nera la trama, con ciò da un lato rispettando i dettami del teatro drammatico shakespeariano e dall’altro utilizzando una chiave talmente spettacolare da riuscire a parlare anche a chi ama certe sequenze visive dal sapore quasi grafico-fumettistico.

BRAD PITT E LA SUA PLAN B

Due parole voglio dirle su Brad Pitt. Anche questo film, come Ad Astra peraltro, è prodotto dalla sua Plan B, una casa di produzione che sta scommettendo in modo coraggioso e lungimirante su film dalla forte carica innovativa, sostenendo impegni produttivi tutt’altro che indifferenti, e infatti The King è un film realizzato con cura estrema e amore per il dettaglio.

Va detto che, in quest’ottica, Brad Pitt è stato di certo uno dei grandi protagonisti di questa mostra non solo per la sua bellissima performance in Ad Astra, ma proprio per la capacità di ritagliarsi un ruolo di produttore importante, ricorderete che fu proprio la sua Plan B a finanziare il bellissimo 12 Years a Slave di Steve McQueen, giusto per citare un precedente.

Insomma Pitt è, sempre più, grande uomo di cinema a tutto tondo. Onore a lui.

FILM IN COSTUME

Anche The King è un film storico. Insieme al capolavoro di Polanski, J’Accuse, quello sì in concorso e candidato numero uno per il Leone d’Oro almeno per quel che mi riguarda, The King segna ancora una volta una tendenza: il film storico piace, affascina, vince e convince.

Difficile, del resto, non restare ammaliati dai costumi meravigliosi, dai paesaggi lividi e piovosi dell’Inghilterra tardomedievale, dai castelli e dalle corti, dalle armature e dalle armi lucenti.

Il sapore antico e brutale insieme, magnifico e rude, di questa pellicola, riesce dunque nella prova più difficile: rispetta l’anima del teatro shakespeariano, attualizzandone il gusto, a uso e consumo delle nuove generazioni. Notevole.