10 cose che ho capito guardando The Last Dance, ovvero la docuserie che ufficializza la beatificazione in vita di Michael Jordan.

The Last Dance è la docuserie di ESPN e Netflix che racconta l’incredibile epopea di Michael Jordan e dei Chicago Bulls.

Probabilmente ne avete già sentito parlare e l’avete anche già guardata, dato che stiamo parlando della serie più vista di sempre su Netflix. Tenendo conto che è uscita qualche settimana fa direi che non è certo un risultato da poco. Inutile quindi perdere tempo in annose recensioni di quello che è un prodotto televisivo superbo, realizzato in maniera pressoché perfetta sotto ogni punto di vista.

Di seguito trovate le 10 cose che ho capito guardando The Last Dance, anche se in realtà sono 9 cose che ho capito e una che non ho capito. Ma non potevo mica scrivere un titolo del genere dai…

1. Michael Jordan Santo Subito

Più che di una docu-serie, The Last Dance è l’ultimo tassello del processo di beatificazione in vita di Michael Jordan iniziato già sul finire degli anni ’80. Gli Stati Uniti hanno sempre avuto bisogno di eroi senza macchia e senza paura, non è un caso se sono stati loro a creare Superman (e non è un caso se in Europa e nel resto del mondo abbiamo sempre preferito Batman o Spider-Man…).

Michael Jordan è il Santo laico dei nostri tempi per una serie di motivi che sarebbe lungo e inutile spiegare, ma che emergono in maniera evidente durante The Last Dance. È stato il più grande cestista di sempre? Senza dubbio, ma questo influisce soltanto in parte sulla sua beatificazione perorata da NIKE, dai media USA e dall’NBA a colpi di miliardate di dollari.

2. L’NBA è anche sport

…ma non necessariamente solo uno sport. Anzi, probabilmente la componente puramente sportiva nel basket americano è minoritaria all’interno di tutto il carrozzone, al netto del fatto che parliamo di super atleti. L’NBA ormai è diventata, molto probabilmente soprattutto grazie a Jordan e alla NIKE, una delle più grandi piattaforme di entertainment del mondo. Una cosa da mettere al livello di Disney per intendersi. Disney ha le sue principesse e i suoi franchise proprio come la NBA ha i suoi MVP e i suoi franchise.

3. Giocatori di basket, questi elegantoni

Già gli americani non sono mai stati un popolo fashion, ma vedere i colossi del basket con quegli abiti da elegantoni è qualcosa da farti sanguinare gli occhi. Giacche formato tovaglia con tagli allucinanti, cravatte improponibili (ma questo è un grande classico USA a tutti i livelli), scarpe oscene. Da quanto ho capito gli USA sono un pianeta in cui anche se sei multimilionario non esiste il concetto di abito su misura.

4. Rodman, poche idee ma molto chiare

“Volevo solo giocare a basket, fare festa e scopare”. Dennis Rodman lo conoscevamo tutti, ma grazie a The Last Dance lo conosciamo tutti un po’ meglio. Poche idee ma molto chiare, soprattuto visti i risultati raggiunti.

5. Steve Kerr, un gigante

Steve Kerr invece non lo conosceva nessuno, tranne gli appassionati di Basket. E stiamo parlando di uno che dopo la parentesi con i Bulls ha vinto altri 2 anelli da giocatore e 3 da allenatore (finora). Niente male per un ragazzetto che sembrava essere arrivato in NBA per miracolo. Al di là dell’aspetto sportivo guardando The Last Dance si ha la sensazione di essere di fronte a un vero gigante.

6. La disumanità di Michael Jordan

Mi domando come non si faccia a provare pietà umana per una persona come Michael Jordan. Un mostro di disumanità, una persona sola come pochi e dall’ego devastante (giustificato dai risultati ottenuti, peraltro). Quando si parla di solitudine dei numeri uno credo si intenda proprio questa cosa qui. Ma è davvero triste vedere una vita così vuota di empatia, di cultura, di persone e di affetti. Al netto del fatto che questo è quello che i produttori della serie hanno deciso di farci vedere, sia chiaro.

7. Un’indigestione di madeleine

Noto che chi ha vissuto anche in minima parte l’epopea dei Bulls si è perdutamente innamorato di The Last Dance. Ma gli altri?

Io, ad esempio, non sono mai stato un appassionato di Basket. Ricordo le sfide tra Lakers e Celtics viste di notte in bianco e nero su Koper Capodistria (ma lì non era tanto il Basket in sé, era vedere qualcosa di figo a un orario proibito); gara 6 delle finals tra Bulls e Utha Jazz vista insieme agli amici nella casa dello studente in cui vivevo all’epoca a Zaragoza (e ricordo perfettamente lo storico ultimo canestro di MJ); la meravigliosa epopea azzurra ad Atene nel 2004. Per me il Basket è grosso modo queste cose qui.

Se per tanti come me guardare The Last Dance ha significato fare un’indigestione di madeleine, non oso immaginare cosa possa voler dire per chi invece ha sempre seguito e amato il Basket.

8. La spaventosa ricrescita di Scottie Pipen

Devi registrare un’intervista per quella che probabilmente sarà la più importante docu-serie sportiva di sempre e ti presenti con una ricrescita bianca di 1 cm in fronte. Immagino che l’intervista sia stata concordata con un certo anticipo, non credo che la troupe si sia presentata a casa tua all’improvviso dicendo “Ehi Scottie, visto che sei uno dei più grandi giocatori di basket di tutti i tempi e ormai sei in pensione da un pezzo, per caso ahi 3-4 ore libere per girare un’intervista sui tuoi anni a Chicago?”. Scottie, sei un vero eroe.

9. Barak Obama e il concetto di “cultura”

In una delle ultime puntate, o forse nell’ultima, Barak Obama dice che i Chicago Bulls e Michael Jordan hanno cambiato la cultura americana e mondiale. Al netto della disonestà e della pochezza intellettuale di chi deve sempre appropriarsi politicamente di idee e persone in maniera ingiustificata (soprattutto in questo caso direi), e al netto del fatto che una figura come quella di Obama è indispensabile per il processo di beatificazione di MJ, mi sembra evidente che io e Barak Obama abbiamo concetti diversi di cultura (ma probabilmente sono io che sbaglio).

10. The Last Dance è o non è un capolavoro?

Tutti gridano al capolavoro. Sinceramente non so se sia un capolavoro. Ho visto una docu-serie bellissima, costruita con grandissima maestria e perfettamente funzionale al suo scopo. Ma ci ho visto tanta plastica, tanto marketing, tanta sceneggiatura. Un po’ come quelle autobiografie in cui tutto va come deve andare e mentre le leggi continui a ripeterti “che meraviglia… incredibile, sembra un romanzo!” (ogni riferimento a Open è puramente casuale). Come docufiction è sicuramente un capolavoro, per tutto il resto parliamone.

In definitiva The Last Dance è più mitologia che storia, ma va benissimo così.