The Palace, la recensione di Silvia Gorgi del film di Roman Polanski presentato fuori concorso all’80a edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
Torna alla Mostra del Cinema Roman Polanski, dopo L’ufficiale e la Spia – Gran premio della Giuria nel 2019 – con The Palace, film fuori concorso, prodotto da Luca Barbareschi, una commedia, sulla carta con spunti che potevano apparire interessanti, e poi, dopo la visione, ci si ritrova a chiedersi: ma perché?
Perché dopo un film bello, acclamato, girato con quella capacità indubbia del regista, ci ritroviamo davanti una commedia da cinepanettone, di serie Z, alla Vanzina, ma in cui neanche le battute funzionano?
- Fanny Ardant, Luca Barbareschi e Oliver Masucci
- Photo by Andrea Andreetta
Un esclusivo hotel sulle alpi svizzere
Siamo in un hotel a molte stelle sulle Alpi svizzere, alla soglia del Millennium bug – l’argomento davvero ci interessa? – e i personaggi che s’aggirano sembrano dei mostri prodotti dalla società odierna, donne con volti rifatti e strarifatti che vogliono farsi l’ennesimo “interventino” con il chirurgo plastico, peraltro presente fra gli ospiti dell’albergo; uomini d’affari, come l’americano – interpretato da Mickey Rourke, peraltro anche lui a sfoggiare, insieme alle mostruose rifatte, il suo volto devastato dalla chirurgia plastica – che vuole tentare un’operazione finanziaria che possa moltiplicare i suoi soldi, in quella notte speciale, con la collaborazione di un piccolo bancario, coinvolto, in qualcosa di molto più grande di lui; l’attore porno in vacanza e in pensione – Luca Barbareschi – la classica riccona annoiata con cagnolino al seguito che mangia caviale – Fanny Ardant – e vecchi con giovani donne che stanno per entrare in possesso dei loro patrimoni.
Una mandria di folli, e per seguire le voglie e i desideri più inutili di tutta questa bella combriccola da horror picture show, il manager dell’hotel, sorta di capocomico – bravo Oliver Masucci – figura che ricorda un po’ quelle della serie White Lotus – mentre nell’hotel s’aggira un pinguino voluto dal vecchio riccone per far felice la giovane mogliettina.
Un insieme di persone così sulla carta potevano anche portare a situazioni grottesche, surreali, in grado forse di fare il giro e di condurre il film a diventare un cult, se qualcuna delle situazioni, delle storie, delle vicissitudini, fosse stata interessante, ma, in realtà, vanno a formare un’accozzaglia banale, scontata, che lascia lo spettatore incredulo di fronte al nulla cosmico di The Palace.
Una burla di Polanski al popolo dei festival?
Un piccolo film, visivamente vecchio, una baracconata che doveva far ridere, che dovrebbe deridere i ricchi, ma per questo film come The Square e Triangle Of Sadness di Ruben Ostlund sono già diventati punti di riferimento, e hanno pienamente raggiunto tale intento. Certo in tali casi si giocava su un terreno sofisticato, qui Roman vuole essere leggero, super leggero, ma finisce per toccare il ridicolo.
Tenta anche una virata sull’attualità, inserendo un gruppo di russi fracassoni che arrivano in hotel con valigie piene di soldi e assistono al discorso di insediamento che proprio in quel giorno, il 31 dicembre del 1999, pronunciò Vladimir Putin introdotto da Boris Yeltsin. Sono le immagini reali e per la maniera in cui sono posizionate nel film, e per come parlano dell’oggi, sono forse un momento riuscito del film.
Una burla di Polanski al popolo dei festival? Un film che prende in giro senza riuscire e non fa il giro per trovare una via di satira che cos’é? Ai posteri l’ardua sentenza…