The Place, la recensione di Danilo Villani per Sugarpulp MAGAZINE del nuovo film di Paolo Genovese con Valerio Mastandea, Sabrina Ferilli e Alessio Borghi.

Un desiderio neanche tanto nascosto, il sogno di tutta una vita, un’esigenza impellente e improcrastinabile. Fino a dove ci si può spingere per vederli realizzati?

Si può calpestare la propria morale, la propria etica e la propria coscienza per sentirsi appagati? Questo è il tema di fondo di The Place, l’ultima opera di Paolo Genovese .

Girato interamente in un bar/ristorante, anzi su un tavolo dello stesso, il film sviluppa le sue tematiche attorno a una figura che fa dell’ambiguità e del mistero le sue principali prerogative.

Volto da sfinge, perennemente seduto al tavolo con immancabili pietanze e bevande (mai alcoliche) fornito di una grossa agenda di colore nero sulla quale prende appunti sulle richieste formulate da un campionario di varia umanità.

L’attempata signora che vorrebbe la guarigione del marito dal morbo di Alzheimer, la suorina che, avendolo perso, vorrebbe ritrovare Dio, la ragazza tipo di oggi con l’ossessione della bellezza. Tutti questuanti di fronte all’enigmatica figura che garantisce l’esito finale. Ma c’è naturalmente un prezzo, e anche oneroso, da pagare…

Ispirata alla serie TV The booth at the end (in onda su Netflix), la produzione è esclusivamente basata su dialoghi senza alcuna scena d’azione o d’interazione tra gli stessi personaggi. Detti dialoghi inducono lo spettatore a un robusto esercizio mentale, a cercare connessioni, a riflettere.

Non è un film facile, anzi è una di quelle opere destinate a spaccare la critica, ma soprattutto il pubblico, in due, ma allo stesso tempo dimostra come si possa produrre dell’ottimo cinema senza ausilio di effetti speciali o tecniche digitali.

Esempio di come una buona idea prevale sempre.

Il cast si avvale della crème de la crème del cinema italiano: da Valerio Mastandrea, sontuoso protagonista dal volto di pietra segno di una raggiunta maturità attoriale, a Sabrina Ferilli, Rocco Papaleo, Alba Rohrwacher e Alessandro Borghi, promessa mantenuta, nei panni di un non vedente.

Unica nota negativa, almeno per lo scrivente, è l’interpretazione di Marco Giallini. D’accordo che interpreta un poliziotto in crisi, ma la replica para para di Rocco Schiavone, nei dialoghi, nei gesti, nelle espressioni, poteva risparmiarla allo spettatore.

Ad ogni modo consigliatissima la visione.

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