The Politician, la commedia che svela e deride i meccanismi utilitaristici e ipocriti della politica. La recensione di Matteo Marchisio.

The Politician è un leggerissimo trionfo metrosessuale che mixa le atmosfere di Glee, gli intrighi di Scandal e le macchinazioni di House of Cards facendo capire come il giusto blend di grandi nomi, ambientazioni a cinque stelle e feticismo per tutto quello che rende la politica il gioco più sporco, possano portare a grandi risultati.

Il primo fra tutti è l’esclusiva con Netflix: 5 anni al prezzo di 300 milioni di dollari USA per un prodotto complesso da classificare. Un bel successo per Ryan Murphy, uno dei produttori più potenti attualmente in circolazione: American Horror Story, Nip/Tuck, Eat Pray Love per citare alcuni dei suoi progetti.

Le ansie e i turbamenti di Payton Hobart

The Politician, attualmente alla stagione 2, ci fa vivere ansie e turbamenti di Payton Hobart, rampollo californiano deciso a diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti fin dai tempi dalla scuola superiore, alla ricerca del giusto mix di handicappati da difendere, reietti della minoranza più patetica da supportare e battaglie ambientaliste di tendenza per guadagnare i voti necessari a scalare la vetta.

Payton ha le fattezze di Ben Platt, bravo, egocentrico, canterino, ispirato, confuso, fragile, ben vestito e checca al punto giusto.

The Politician, una commedia spensierata

The Politician di base è una commedia spensierata che parte da atmosfere surreali per portare alla ribalta il tema della finzione nel mondo della politica, in cui tutto ha un’origine esclusivamente utilitaristica.

Payton ha un vero entourage, un club di amici intimi con tanto di first lady, una parodia di staff presidenziale incarnato da facce già viste su Disney Channel e Youtube.

 Laura Dreyfuss, Rahne Jones, Theo Germaine, Julia Schlaepfer tutta gente che fa spesso vacillare il confine tra attore e personaggio: un po’ star di Broadway, un po’ produttori/cantanti, tutti impegnatissimi nella vita reale con campagne per diritti LGBT, contro il surriscaldamento globale, diritti delle minoranze&co.

Tantissimi i big nel cast, tra cui spadroneggia una Gwyneth Paltrow che interpreta la sé stessa che offre alla stampa, come mamma di Payton. 

Bette Midler insieme a Judith Light sono le avversarie della seconda, bellissima, stagione che strizza perfino l’occhio al taglio documentaristico, con un’ottava puntata dedicata al rapporto generazionale degli elettori e a come siano visti dalle persone comuni i candidati politici.

Una serie fluida come l’identità dei suoi personaggi

The Politician è una serie fluida come l’identità dei suoi personaggi, totalmente padrona della contemporaneità delle categorie umane protagoniste, le stesse che popolano le vie del centro di metropoli occidentali come New York, Londra o Milano. 

Tantissime gag esagerate avendo come core un giro di figli di papà, prendendo però tutta la distanza possibile da un prodotto come Gossip Girl: banalissimo giro di bellocci e superfighe che munge patetico e mendica attenzione.

The Politician ha solo un grande, potente limite, che coincide con la sostanziale diversità dell’orizzonte morale tra persone della Vecchia Europa e gli yankee, quando si tratta di eleggere un rappresentante.

Tutta la critica all’ipocrisia delle battaglie pubbliche e al culto dell’immagine ideale funziona solo in un paese protestante: per gli europei, in particolare per i mediterranei, è un disvelare qualcosa che ci si è abituati a non tenere in considerazione dietro la tendina plasticosa della cabina elettorale.