THE ROOM NEXT DOOR, la recensione di Giacomo Brunoro del film di Pedro Almodovar presentato in concorso all’81a edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
THE ROOM NEXT DOOR, il primo film in inglese di Pedro Almodovar, affronta un tema scivolosissimo come quello dell’eutanasia.
La storia è presto detta: una ex inviata di guerra del New York Times malata terminale (Tilda Swinton) decide di mettere fine alla sua vita. Chiede allora aiuto a una sua vecchia amica, brillante scrittrice di successo (Julianne Moore).
Un’opera di Edward Hopper
Il film di Almodovar proietta lo spettatore dentro a un’opera di Hopper: la fotografia, i colori, gli abiti, le case, gli appartamenti e in generale tutto quello che vediamo sullo schermo è semplicemente sublime. Ogni dettaglio è un piccolo quadro, il tutto portato sullo schermo in maniera perfetta da Almodovar.
Certo, sarebbe stato meglio se Almodovar non avesse sottolineato in maniera pedissequa la cosa con tanto di spiegone su Edward Hopper perché così la magia sparisce. Ma, al netto di questi dettagli, i significati di quei colori e di quelli immagini dialogano in maniera profondamente dialettica con quello che il regista spagnolo sta raccontando, elemento che avrebbe potuto aumentare in maniera esponenziale i significati del film.
Bene ma non benissimo
Il problema di THE ROOM NEXT DOOR è che il tema di fondo, quello dell’eutanasia, viene trattato con una superficialità a tratti imbarazzante e, di fatto, ridotto a un gioco per ricchi annoiati che comprano misteriose pillole sul dark web (ecco, ‘sta cosa del dark web è davvero la summa della superficialità e del radicaliscicchismo populista di questo film).
Diciamo che la prima parte del film fatica a ingranare per colpa di una sceneggiatura logorroica e verbosa, con il personaggio interpretato da Tilda Swinton che ci racconta per filo e per segno la sua vita, chi è, cosa ha fatto, cosa le è successo e perché arriva alla sua scelta e blablablablablabla…
Spiegone che dà vita a un personaggio posticcio, finto, nonostante la serie di tentativi patetici di dargli profondità risolti con trovate che pescano a piene mani tra i luoghi comuni del bar dello sport. Per non parlare del personaggio di John Turturro che è davvero la macchietta della macchietta.
Il meglio di Almodovar invece viene fuori quando riesce a trovare quel suo inconfondibile esprit che diverte, quel suo sguardo caustico che gli permette di spezzare temi e momenti difficilissima con una grande leggerezza sorprendendo lo spettatore.
Due grandi interpretazioni
Tilda Swinton e Julianne Moore sono straordinarie in questo film che, di fatto, gira tutto intorno a loro. Due donne e due attrici magnifiche che si mettono in gioco e che fanno venire un po’ di rimpianti pensando alle potenzialità inespresse da un film che aveva a disposizione due fuoriclasse del genere.
A Venezia il film è stato acclamato dalla critica, ho visto una vera e propria pioggia di stelle da parte dei critici e una standing ovation in sala. Resto un po’ perplesso perché il pubblico dei festival (giornalisti e critici compresi), sembra sempre più sentirsi in dovere di dedicare standing ovation ai grandi maestri a prescindere da quello che vedono sullo schermo.
Non il miglior Almodovar
Capiamoci, THE ROOM NEXT DOOR non è un brutto film. Ha degli ottimi momenti e nel complesso funziona, ma non è certo un film da standing ovation o da lacrime. È un film che non riesce quasi mai a emozionare per colpa di una scrittura e di una messa in scena che non ti permettono di empatizzare con i personaggi (tutti polarizzati su posizioni standard, tipo il poliziotto dell’interrogatorio…) e quando parli di un argomento del genere non te lo puoi permettere.
Un film che in definitiva ha il suo punto di forza nella sua estetica e che invece a mio avviso si blocca in una visione del mondo piuttosto ferma e banale, priva di sfumature e di diversity culturale.