The Whale, il fardello del corpo simbolico tra cinema e letteratura. L’articolo di Maila Cavaliere per Sugarpulp MAGAZINE.

Cosa possiamo fare quando abbiamo già sbagliato oltre ogni limite se non continuare a farlo, dare corpo e sostanza al nostro errore perseverando in esso?

Qual è il confine tra noi e il nostro abisso più profondo? E la maggiore distanza sociale è quella dell’invisibilità dello schermo, di una casa quasi inaccessibile al resto dell’ umanità o quella di un corpo che si allarga a dismisura per provare a riempire tutto, il vuoto, la solitudine e lo spazio prossimale tra noi e l’ altro?

Nell’Oscar a Brandon Fraser per The whale non c’è solo la straordinaria prova attoriale del protagonista della trilogia de La Mummia, ma l’eco di una vasta gamma emotiva e letteraria di scritti sul corpo e sul peso che raccontano un presente fortemente squilibrato tra pienezza e vuoti da colmare, tra leggerezza e carichi eccezionali, tra superficie e stratificazione, tra immagine e percezione.

C’è soprattutto il gusto perverso con cui alimentiamo i mostri, nella terribile coazione a ripetere della nostra costante inadeguatezza.

Solitudine, isolamento, reclusione

La storia di Charlie, professore online di scrittura creativa, a telecamera spenta per non mostrare agli studenti la propria obesità, vissuta come una vergogna, è una storia di solitudine, isolamento e reclusione.

Pur ispirandosi alla pièce teatrale di Samuel D. Hunter, The Whale mi ha immediatamente rammentato un romanzo letto di recente: Il peso di Liz Moore( Heft, titolo originale), pubblicato per NN editore con la traduzione di Ada Arduini

Come nella pellicola del regista di Requiem per un sogno, il libro di Liz Moore racconta la vicenda di un (ex) docente universitario, Arthur Opp, affetto da obesità e recluso in una casa, senza nessun rapporto con il mondo esterno se non per una lunga corrispondenza con una ex studentessa.

“Sarebbe impossibile spiegare perché mi piaccia così tanto, perché mi sia piaciuta fin dall’inizio. In parte, naturalmente, era perché io le piacevo, perché sentivo di volerla aiutare il più possibile. In parte era perché riconoscevo in lei, nella sua goffaggine, nella sua solitudine, nel suo essere sempre fuori posto, una straniera in una stanza piena di compatrioti. Riconoscevo quei sentimenti come miei.”

Il corpo, l’elemento caratterizzante

Parafrasando l’ interessante prefazione all’ edizione italiana affidata ad Andrea Donaera, al di là delle opere considerate, non credo esista un universo narrativo in cui il corpo non si configuri come elemento caratterizzante.

I difetti percepiti, lo sguardo degli altri sono interlocutori costanti nella relazione con il mondo e nella accettazione del proprio sé. Col corpo capisco, scriveva David Grossman, col corpo comunico, col corpo affermo o nego il mio posto nel mondo.

Il peso che aumenta a dismisura, il fardello, l’ obesità ( non a caso definita severa) ne sono tuttavia la drammatica acutizzazione.

Ogni corpo simbolico nel suo inesorabile espandersi costruisce intorno a sé un riparo, un nascondiglio, un carapace, una quieta rinuncia ( cara_pace) alla presenza dell’altro da cui, tuttavia, non riesce a prescindere del tutto per specchiarsi in una funzione esistenziale che sfugga alla completa inutilità. Così, il disagio profondo di cui l’obesità era l’unico sintomo visibile si carica anche dello stigma che vede nell’obeso una persona indolente e poco funzionale ai principali ruoli sociali.

Se la scrittura si serve del non detto, il cinema a volte ha bisogno delle iperboli. E Aronofsky lo sa.

Del resto, nessun obeso chiederebbe: “Mi trovi disgustoso?”. Non ne avrebbe il coraggio. Conosce la risposta o la teme.

E far dire a Charlie che se un malintenzionato qualunque entrasse in casa dal portone lasciato aperto e lo accoltellasse non arriverebbe mai a colpire gli organi è l ’esplicitazione scenica di un disagio interiore. Uno script necessario di parole che non si direbbero di certo in un romanzo.

Charlie ha un’amica infermiera che si occupa di lui in modo affettuoso, a volte fin troppo accondiscendente. Ma è l’unica a cui non ha timore di mostrarsi.

Arthur abdica alla solitudine assumendo Yolanda, una domestica dai modi spiccioli ma dall’enorme buon senso.

In entrambe le opere, inoltre, sia pure a differenti livelli di colpevolezza, i protagonisti vivono una parte del proprio passato come una colpa da espiare e lo snodo delle loro vite ributtanti ed emarginate è affidata all relazione ( da costruire, nel romanzo, da recuperare, nel film) con una figura di adolescente.

Charlie ha una figlia adolescente, che ha abbandonato dopo la fine del matrimonio e l’inizio di una nuova relazione con un uomo e a cui vuole lasciare la consapevolezza e il desiderio di essere una bella persona.

Arthur comincia ad aiutare il figlio della donna a cui scrive, un ragazzo senza risorse che per anni ha visto sua madre consumarsi nell’abuso di alcool e nella depressione.

E nel tema della seconda possibilità si riduce paradossalmente il peso esistenziale che grava sui due protagonisti.

A proposito di paradossi

A proposito di paradossi, la scrittura di Giorgio Falco e il suo giovane protagonista obeso Federico Furlan ( dispiace non vederlo candidato al Premio Strega, ma è in buona compagnia, quest’anno) costituiscono un romanzo di de-formazione struggente e terribile nel panorama della letteratura italiana contemporanea.

Fede, castrato già nel nome e nella relazione masochista con Giulia, una ricca anoressica che lo domina e lo umilia, è disposto a interpretare i ruoli più avvilenti, pur di averne uno, pur di essere visibile, utile, pensato. Pur di esistere per qualcuno.

Ne Il paradosso della sopravvivenza lo scrittore di Ipotesi di una sconfitta racconta più in generale la dura realtà di un’indifferenza che può far male quanto e più delle umiliazioni e della sottomissione.

In tutte queste opere resta impresso il peso della vita, quella maledetta impronta che, giorno dopo giorno, inesorabilmente, schiaccia tutti e che a volte, nonostante tutto, ci permette di continuare a sopravvivere.

Senso di inadeguatezza, atti mancati, scelte vigliacche, senso di colpa, fame e desiderio. E la pornografia è nello sguardo di chi non ti colloca in uno spazio del mondo ma ti passa accanto senza vederti.

Il peso simbolico di questi corpi visti, letti, sentiti sulla nostra pelle racconta qualcosa a tutti noi, che strutturiamo la nostra propriocezione sempre intorno agli occhi di qualcun altro.