Trainspotting, il capolavoro di Danny Boyle tratto dal capolavoro di Irvine Welsh, ancora oggi si dimostra un film attualissimo.
Scegliete la buona salute, il colesterolo basso, la polizza a vita. Io ho scelto di non scegliere la vita: così recita Mark Renton, protagonista di Trainspotting, capolavoro visionario di ironia underground, tratto dall’omonimo libro di Irvine Welsh, e diretto da Danny Boyle nel 1996.
Quale migliore dichiarazione di nichilismo esistenziale e complessità concettuale: il bisticcio scegliere di non scegliere denota il drammatico determinismo di fronte a una vita e a una società non-scelte (può bastare il conforto della buona salute,il colesterolo basso e lo scrupolo della polizza a vita?).
Renton nega l’imposizione e preferisce l’eroina, come il suo amico Spud, goffo ma dall’animo candido; come Sick Boy, ossessionato dal mito di Sean Connery, del quale non perde occasione per citare i film (ironico contrappunto di conoscenza). Completano la costellazione dei personaggi il violento Begbie e il pacifico Tom, il più puro del gruppo al quale spetterà, tremenda nemesi, la sorte peggiore.
Tutto è più semplice, quando si ha un’onesta dipendenza dall’eroina.
Al contrario di quanto si può credere il film non denuncia né tantomeno prende posizioni moralistiche nei confronti del mondo della droga. Basta il tema.
Alla sua uscita nelle sale, era stato criticato per un suo presunto compiacimento verso l’eroina e per le sue immagini crude e troppo dettagliate, quali la preparazione e somministrazione di dosi di droga. In realtà non manca la condanna, ma è espressa in maniera ellittica rispetto alle normali prassi drammaturgiche.
Nella casa dello spacciatore chiamato Madre Superiora (per l’età della sua dipendenza), punto di riferimento logistico di Renton e compagni, una bambina di cui si conosce la madre Alison (una delle ragazze drogate) ma non il padre, si muove a gattoni in mezzo ai drogati abbandonati tra i materassi.
In seguito, contemporaneamente a uno dei momenti in cui tutto il gruppo è alienato dall’effetto della droga, la bambina viene trovata morta nella sua culla. La cosa porta alla disperazione la madre e Sick Boy, che si rivela essere il padre.
Questa scena, uno dei cardini del film, mostra la dipendenza e l’annebbiamento totale che porta alla colpa primigenia: l’assassinio di un figlio! Per quanto non volontario.
Il mondo di Trainspotting è colto nei suoi più fervidi e striscianti meandri figurativi. Esemplare è la scena di Renton che si tuffa nel lurido water di un locale per recuperare delle supposte di oppio (le usa per calmare gradualmente la sua dipendenza).
Astrazione e lirismo alludono grottescamente a un parossistico quanto teatralmente contraddittorio tentativo di salvezza: al suono di un arrangiamento della Carmen, il drogato si getta tra la merda e manifesta una scelta diversa da quella di infilarsi l’ago in vena.
Il fatto che la scena sia tratta esplicitamente da un brano del libro di Thomas Pynchon, L’arcobaleno della gravità (il protagonista del romanzo si immerge nel gabinetto di un bar per recuperare la fisarmonica perduta imbattendosi in varie tipologie di escrementi di cui elabora una vera e propria tassonomia), dimostra quanto il regista abbia voluto evidenziare il canone di un tentativo di trascendenza che sfida le leggi della superficie (terrena).
La merda è pure il mare, e nel mare si nuota, sgravati da imposizioni e condizionamenti, il nuotatore è essere sovrano che libera il proprio corpo (persona) dai lacci del dover essere (compreso il laccio emostatico). Non c’è altra rarefazione e indipendenza per il drogato.
Trainspotting è un film che sottende una sottile critica politica (preferibile vederlo in lingua originale: lo Scozzese, non l’Inglese). I personaggi si muovono nella Edimburgo della fine del secolo scorso.
L’identità nazionale sembra non bastare a creare un tessuto sociale forte; avere come unico riferimento Sean Connery dimostra la mancanza di fondamentali modelli. Quando Tommy passeggia con gli amici in montagna, glorificando la natura scozzese, Spud dissente dai prestigi nazionali, mentre Renton urla che è una merda essere scozzesi. Siamo il peggio, i più disgraziati, i più servili, patetici avanzi che siano stati cagati nella civiltà (la merda di superficie).
Un discorso a parte merita l’amicizia. Mark Renton chiama i suoi compagni cosiddetti amici. Misura relativa. Tommy cade in depressione in seguito alla rottura con la fidanzata perché una videocassetta con delle riprese dei due che fanno sesso è stata da Mark scambiata con dei filmati di calcio; Begbie è più temuto per la sua violenza che considerato per la sua amicizia.
Non c’è un vero legame tra questi ragazzi se non quello sotteso creato dalla dipendenza dalla droga. E anche quando Mark, finalmente disintossicato, scapperà a Londra per iniziare una nuova vita si ritroverà tra i piedi tutti i cosiddetti amici: saranno loro a impedirgli un’esistenza normale e a trascinarlo nuovamente verso l’illegalità.
In Trainspotting non c’è compiacimento né romanticismo. La dipendenza dalla droga viene rappresentata come puro atto narrativo, l’ironia impedisce alla vicenda toni insistentemente drammatici, o melodrammatici. Non occorre né il disgusto né una troppa didascalica morale: i personaggi sono rappresentati, non descritti, vale la narrazione non la spiegazione.
Si è già citata la bambina, ma è il caso di ricordare ciò che può essere intesa come l’innocenza traviata di Tommy che in seguito all’abbandono da parte della fidanzata decide di provare l’eroina, unico alla fine a morire di AIDS.
A parte la bambina si tratta di vittime assolutamente consapevoli del loro destino: HANNO SCELTO DI NON SCEGLIERE! L’eroina non è che la triste alternativa della non-scelta. La compensazione di un determinismo disperato.