Ultras, la recensione di Matteo Marchisio del film di Francesco Lettieri. Un viaggio tra vite violente che finiscono violentemente.

Ultras è un film di una potenza devastante che punta tutto su inquadrature che grondano violenza pura e la potenza fisica del vecchio capobranco Sandro ‘o Mohicano.

Netflix ha pagato il conto di questa pellicola di Francesco Lettieri accusato di aver preso spunto dall’universo della sottocultura calcistica per una storia stereotipata sulla delinquenza napoletana che ruota intorno agli eventi del calcio professionistico.

Critiche condivisibili che non scalfiscono un bel lavoro che non racconta nulla di falso, preferendo un solo punto di vista rispetto ad altri, la violenza dei tifosi, sicuramente per una questione di income.

La fotografia dal taglio documentaristico offre scorci stile quadri di Francesco Lojacono: l’immagine di una QVESTURA taglia lo schermo come una piramide di sabbia con la sua forma fascista, sopra il cielo azzurro, da una parte un grumo scuro dei derelitti che vanno a firmare per la diffida, dall’altra un poliziotto al cellulare.

Il Francesco Lettieri regista porta sullo schermo tante battaglie urbane, bagni nella riviera napoletana, palazzoni proletari con eserciti di ragazzini in motorino senza casco con i sottofondi arrangiati dal grandissimo Liberato, poeta contemporaneo gigantesco, e Calcutta.

Ultras prende il volo a partire dal degrado sociale intorno al mondo glitterato della seria A che non viene mai mostrato: si sente l’eco delle prodezze sportive da lontano, tra un adesivo spelacchiato in un club, o nei colori delle sciarpe bagnate del sudore di chi va allo stadio armato di spranga e petardi.

Ultras mostra tutto questo, sublimandolo in un documentario sulla fede, quella ricerca totalizzante di un senso nella vita che se abbracciata con troppa forza instrada verso un baratro oscuro, lastricato da una distesa di pietra appuntite.

La trama segue le ultime giornata di campionato del capobanda del club ultrà Apache, mostrando alcune sfaccettature dei contrasti generazionali all’interno del gruppo, con i vecchi, chi diffidato, chi attivo che tentano di placare l’aggressività dei giovani. 

Un enorme Aniello Arena interpreta il Mohicano, guida, padre spirituale per i meno agè, fondatore della banda,riuscendo a dare vita a un genuino picchiatore dal cuore buono che prova ad andare avanti tra un catenata in faccia e l’altra, combattendo per tenersi una vera donna nonostante sulla pelle si accumulino cicatrici e tatuaggi di decenni di risse per strada.

Inutile dire che il mondo della tifoseria organizzata ha puntualizzato che Ultras intrattiene bene ma non scava a fondo nella passione di chi vive il calcio della propria città o quartiere come una cosa di famiglia.

Ultras è un gran bel prodotto italiano che merita attenzione e guida verso un finale circolare, come per dirci che le storie di certe persone vanno in un solo modo. Finiscono così come iniziano, come dice Rorschach di the Wathcmen: vite violente, che finiscono violentemente.