Un uomo libero, un racconto di Alberto Spinazzi per Sugarpulp.
Mirko uscì dalla Casa Circondariale di Padova in Via 2 Palazzi il 5 luglio 2007. Faceva molto caldo e sembrava non godere affatto della libertà. Prese un taxi e si diresse verso il centro. Pagò, lasciò il resto all’autista e s’incamminò verso un vialetto alberato che portava a un cancello. Mirko Ferro fece ancora qualche passo, saltò il muretto d’accesso e si fermò a venti metri dalla casa, dove nascose tra i cespugli un pacco. Non era ancora convinto di quello che stava per fare ma sapeva che doveva farlo.
Si avvicinò di qualche metro e attraverso il finestrone del soggiorno vide sua madre curva davanti alla televisione. Doveva trattarsi di qualche programma a quiz perché la notava sfogliare il dizionario e poi bestemmiare. Non gli erano mai piaciuti i giochi a quiz. Anche quando stava ancora in via 2 Palazzi e dopo cena guardavano tutti insieme la televisione, c’era sempre qualcuno che capiva gli indovinelli prima di lui e s’innervosiva tremendamente.
Una volta aveva bastonato un informatico, finito dentro per frode bancaria, che indovinava tutte le domande. Lo innervosiva ma comunque era ormai una storia chiusa. Non sarebbe mai più tornato in una struttura pubblica per nessun motivo, al limite in posizione orizzontale, per essere aperto da qualche artista del bisturi.
Mirko guardò la madre che cercava di indovinare le risposte dei quiz. Il volume della televisione era così alto che riusciva a distinguere perfettamente la voce del presentatore ciociaro con la cravatta gialla a rombi rossi che imbeccava i concorrenti. La vecchia era rimasta sola. Il figlio suonò, dopo cinque minuti gli apri una signora rugosa e quasi priva di capelli, che a stento riuscì a riconoscerlo:
“Mirko, sei tu?”.
“Sì mamma, sono io”. Ci fu un momento di pausa, poi Mirko, commosso chiese alla madre: “Perché non sei mai venuta trovarmi in quella merda di posto dove mi hanno rinchiuso?”.
“Da quando hanno ucciso papà, ho avuto tanta paura, figlio mio”.
La madre si vergognò della propria debolezza e si mise a piangere, si inginocchio è quasi baciò gli anfibi del figlio. “Prima di essere stato investito da un’auto, tuo padre è stato torturato per sapere dov’erano i soldi, ma lui non sapeva niente e per proteggerti non voleva chiederlo a te”. Mirko era sopravvissuto 10 anni in Via 2 palazzi soltanto perché tutti sapevano che lui era l’unico a custodire il segreto di dove si trovavano i 200.000 euro della rapina per cui era stato incastrato 10 anni prima.
“Mamma, non ti devi preoccupare più di niente, ma sta bene attenta”. Diede alla madre la chiave della cassetta di sicurezza di un ufficio postale. “Questa chiave è preziosissima e non ti dico quanto mi è costato ingoiarla e recuperarla ogni giorno. Domani mattina, apri la cassetta, e lì troverai le indicazioni di dove si trova il malloppo della rapina. Prendi tutto e scappa senza esitazione”.
“E tu … tu verrai con me?”.
“Non ti devi preoccupare per me. Ho una piccola cosa da sistemare questa notte”.
“Ma… ma?”.
“Devo vedere alcuni amici”.
“Non ti vedrò mai più. Tu morirai questa notte”.
Mirko abbracciò la madre è uscì dalla casa senza voltarsi, recuperò il pacco nascosto tra i cespugli e uscì dal cancello. Nel pacchetto c’era una piccola Beretta, che gli aveva procurato una guardia. Si diresse verso Prato della Valle per incontrarsi con gli altri componenti della vecchia banda.
Amici. Dei cari amici, persone che un tempo avevano giurato fratellanza, con cui l’unica cosa che da lì a poco li avrebbe accomunati era la morte.
Controllò il caricatore, i colpi sarebbero bastati. Finalmente sarebbe stato un uomo libero.