L’intervista di Corrado Ravaioli per Sugarpulp MAGAZINE a Vanni Santoni autore de La stanza profonda, romanzo entrato tra i 12 finalisti del Premio Strega.
Abbiamo incontrato Vanni Santoni durante una presentazione a Cesena, per la rassegna Scritto e soffritto.
Tra un boccone e l’altro, ci ha parlato della genesi del libro e della candidatura al Premio Strega del suo ultimo romanzo, La stanza profonda.
L’intervista
So che ha giocato per anni a Dungeons and Dragons. Viene da questa esperienza l’idea del libro?
Nonostante io abbia un’esperienza da giocatore di ruolo superiore a quella del protagonista della stanza profonda (27 contro 20, ndr) il libro nasce dal precedente romanzo, Muro di casse. Con quel libro esploravo una sottocultura che in una parte della sua esistenza è stata una vera e propria controcultura cioè quella dei rave, e visto che Laterza mi ha chiesto un libro per la stessa collana, caratterizzato da un’ibridazione saggio/romanzo mi è venuto naturale lavorare sul gioco di ruolo.
Questo perché si trattava di un’altra subcultura che aveva conosciuto la sua epoca d’oro quasi nello stesso periodo, aveva una grande importanza culturale ma nelle narrazioni di massa era sempre stata raccontata con superficialità. C’era quindi spazio per una narrazione che rendesse ai giochi di ruolo una storicizzazione onesta.
Nel libro metti in luce non solo il fenomeno dei gdr per quello che ha rappresentato all’epoca ma lasci intravedere le potenzialità di questa sottocultura.
Nel romanzo, a proposito di giochi di ruolo parlo di avanguardia. La sua importanza va valutata soprattutto in base ai suoi prodotti di secondo grado. Il più evidente è l’industria del gaming: noi che siamo un po’ più grandi non riusciamo neanche a capire a pieno cos’è oggi nella realtà l’industria del videogioco.
Un’industria capace di vendere decine di milioni di copie dei principali titoli e ha un fatturato ormai superiore a quella di Hollywood. I campionati mondiali di un gioco come “League of legend” che incarna diversi elementi del gioco di ruolo (i passaggi di livello, gli oggetti magici, le varie classi) ha un montepremi pari a quello di Wimbledon. Questo è il livello più visibile.
In realtà la nostra società con l’avvento di internet ci ha portati in un contesto in cui noi sviluppiamo una parte rilevante delle nostre esistenze in un campo virtuale come quello dei social network. Un campo nel quale proiettiamo noi stessi attraverso degli alterego (i nostri profili) che sono definiti attraverso delle schede personaggio da compilare, esattamente analoghe a quelle dei personaggi del gioco di ruolo.
Non solo, lì avvengono delle interazioni che sarebbe ingenuo definire virtuali e quindi poco importanti. Sono virtuali ma influiscono sulla nostra realtà e la nostra vita. I giochi di ruolo, nel ’74, anno di nascita di Dungeons and Dragons, con degli strumenti analogici come possono esserlo matite, dadi e schede, anticipavano questo mondo in cui il campo delle interazioni virtuali iniziava ad acquisire rilevanza.
Il libro rende giustizia in qualche modo a chi ha vissuto l’esperienza dei gdr?
Rispetto a questo libro è stata evocata spesso una frase presa da un film scollacciato degli anni ’80 La rivincita dei nerds. La verità è che siamo di fronte alla storicizzazione di una vittoria a tutto campo dei nerd.
Chi si era formato all’interno di quella sottocultura in cui c’erano giochi di ruolo, videogiochi, informatica e quant’altro, successivamente si è impossessato del mondo. Parallelamente a questo, che è un fenomeno specificamente legato all’ascesa del digitale e della telematica, a rivoluzione antropologica globale, è successa un’altra cosa, più piccola ma non meno interessante, soprattutto per chi ha frequentato i giochi di ruolo.
Il fantasy, che prima era davvero una nicchia perché se andavi in una libreria negli anni ’90 avresti trovato i pochi romanzi fantasy come sotto-settore nello scaffale di fantascienza. Oggi questo rapporto si è ribaltato ma il fantasy ha preso possesso dell’immaginario generale: Harry Potter, Il signore degli anelli, Il trono di spade, Hunger Games. Il fantasy è il principale filone della cultura di massa.
Ai tempi dell’ascesa dei gdr erano una cosa per pochi. Questa egemonia probabilmente ha cambiato il modo in cui ora noi guardiamo questi fenomeni, tanto è vero che oggi giochi come Dungeons and Dragons sono considerati una cosa figa, mentre negli anni ’80 erano il non plus ultra dello sfigato.
Che effetto ti fa vedere il libro tra i candidati al Premio Strega?
È abbastanza sorprendente ma credo che possa essere considerato un segno dei tempi nel senso che forse siamo noi che siamo nati negli anni ’70, cresciuti negli anni ’80 e ’90 a pensare il fantasy o il gioco di ruolo una nicchia perché all’epoca era tale. In realtà oggi è una parte consistente dell’immaginario contemporaneo e quindi forse non è sorprendente che un libro dedicato a questo tema possa andare al premio più prestigioso in Italia.
Poi forse c’è un altro aspetto ovvero il fatto che La stanza profonda sia un libro sulla provincia, su come la provincia italiana è cambiata in questi trent’anni. Io lo racconto attraverso il filtro dei giochi di ruolo ma chiaramente questo è un tema che può riguardare tutti.