VERMIGLIO, la recensione di Silvia Gorgi del film di Maura Delpero vincitore del Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia.
VERMIGLIO di Maura Delpero in concorso qui alla Mostra del Cinema di Venezia è, insieme a DIVA FUTURA, una delle più belle sorprese italiane al festival.
Ci racconta una sorta di “piccolo mondo antico”, con uno sguardo al cinema di Olmi, e a una dimensione della vita in montagna, che riporta alla mente opere letterarie come quella di Maria Zef di Paola Drigo (anche se in quel caso la vicenda aveva toni e tinte molto più drammatiche).
Una regia solida
La regia è solida, e ci regala un’atmosfera che non conosciamo più, quella di una vita dura, semplice, in cui la cifra stilistica dell’autrice è ben presente e i tanti attori non professionisti (se si escludono Sara Serraiocco e Tommaso Ragno) finiscono per essere la chiave del film.
La loro direzione è davvero molto azzeccata, Delpero è, infatti, in grado di far recitare con una naturalezza incredibile, soprattutto gli interpreti più giovani, ce n’è in particolare uno, il più piccolo, lo riconoscerete, che amerete per spontaneità e dolcezza.
È una storia rurale ambientata in un paesino del Trentino Alto Adige, quasi tutta parlata in ladino. Il ritmo è lento, forse troppo, ma la vicenda si insinua un po’ alla volta sotto pelle, grazie anche a un’ottima protagonista (Martina Scrinzi), e pian piano si entra in empatia con le donne di questa famiglia e le loro vicissitudini. Una vicenda d’altri tempi, narrata senza troppo buonismo, senza troppi filtri culturali, anche senza nostalgia per il passato ma mostrandocelo per quello che era ovvero un mondo doloroso in cui si doveva lottare per sopravvivere.
Produzione italo-franco-belga, VERMIGLIO racconta in particolare le vicissitudini di una famiglia, i Graziadei, e delle tre figlie femmine, Luca, Ada e Flavia. La madre, per la verità, di figlioli ne ha avuti ben dieci, non tutti sopravvissuti al parto o alle malattie in tenera età. La casetta in cui vivono, a Vermiglio appunto, si trova in mezzo ai campi e alla neve che li imbianca nei freddi inverni.
Storie che si intrecciano
La storia si sviluppa lungo le quattro stagioni. Il capofamiglia è un maestro elementare, severo e giusto – un efficacissimo Tommaso Ragno – che cerca di insegnare ai suoi giovani studenti, compresi i suoi figli, l’uso dell’italiano, visto che è il dialetto invece la lingua che praticano tutti i giorni e con cui hanno dimestichezza.
Nell’ultimo anno della seconda guerra mondiale la famiglia si ritrova a ospitare un soldato, Piero, proveniente dalla Sicilia, che ha disertato, e che sposerà una delle figlie, la più grande e bella, Lucia, dopo averla messa incinta; ma in tempi di guerra le realtà vengono spesso anche celate, e il matrimonio avrà una svolta inaspettata, lasciando, in particolare le donne di casa, a lottare contro un sistema, una società, che è ancora ben lontana da forme di emancipazione.
E, infatti, Ada cerca di controllare le sue pulsioni verso Agata, la ribelle del paese, e Dino, il figlio maggiore, trova spesso sulla sua strada ad osteggiarlo, il padre, dolce nei confronti dei fratelli, particolarmente duro verso di lui e verso la madre, relegata a pura fattrice.
La forza della semplicità
Opera seconda di Delpero, dopo il debutto MATERNAL, che aveva già suscitato forte attenzione da parte della critica, Vermiglio, con semplicità mette di fronte lo spettatore allo schema di relazioni familiari di un tempo, fatto di regole codificate dal costume e dall’abitudine, in cui aprire un varco non è per nulla semplice.
Molto interessanti alcune delle riprese che ci riportano al punto di vista dei personaggi, ci fanno vedere quel mondo con i loro occhi, quel microcosmo domestico che a tratti commuove e che di sicuro ha convinto a #Venezia81.