In spiaggia volete leggere un libro leggero, divertente e avventuroso? Leggete Via con me di Castle Freeman.
“Che tipo è?” “Tipo delinquente del paese” disse Betsy. “È quella che abbiamo quassù al posto della criminalità organizzata”. “Stando a quanto dicevano oggi” disse Conrad “è probabile che ce ne sia un po’ anche di quella”. “Non lo metterei in dubbio” disse Betsy. “Si chiama progresso”.
Castle Freeman, Via con me, Milano, Marcos y Marcos, 2008, pag. 216.
Di questi tempi pullulano consigli per le letture sotto l’ombrellone. O per sopra il divano di casa, dico io, dato che molti le vacanze parrebbe non possano permettersele. Spesso consigli che io leggo per scoprire qualcosa di nuovo ma che, alla fine, rigurgito in un’ideale scatarrata al gusto di un sigaro “Garibaldi”. Le solite, scontate, fregnacce da mainstream culturale al sapor di panzanella e culturame radical-chic. Io i mei consigli li ho comprati, in blocco, prima di partire. Dalla libreria Stilelibero dell’immenso Mauro Falciani, Falcian per gli amici. Un po’ di autori li ho chiesti io, uno me lo ha appioppato lui. E ci ha preso di netto. Mi ha venduto il libro di cui parlo qui, Via con me, di Castle Freeman (Marcos Y Marcos). Non sapevo chi fosse questo autore e, se non avessi questo libraio di fiducia, penso che mai lo avrei saputo. Freeman, infatti, non è di quelli noti in Italia. Texano di San Antonio, trasferitosi in Vermont, questo scrittore dimostra di essere dotato delle caratteristiche peculiari degli americani che piacciono a me: scrittura secca, dialoghi incalzanti, spesse dosi di humor, capacità di inchiodare e divertire il lettore anche su una trama di per sé debole. La storia segue il profilo, abbastanza scontato, di un classico romanzo di formazione nord americano, con tutti gli ingredienti del caso. Una ragazzina, uno sceriffo pavido, un bruto corrotto e una masnada di improvvisati giustizieri che, in nome della giustizia, frequentano la vendetta. La storia inizia con Lillian, la ragazza dai capelli lunghi sino alle chiappe che – trovatasi con un vetro dell’auto distrutto, il gatto sgozzato e una minaccia impressa nell’anima – vuole liberarsi del suo aguzzino, il cattivo Blackway, una sorta di orco dei giorni nostri. Per fare ciò si rivolge alla legge che, nel paesino del Vermont in cui si svolge la storia, è il pilatesco sceriffo Ripley Wingate il quale – avendo avuto Blackway come corrotto collaboratore – la indirizza alla “Dead River Chair Company”, una segheria divenuta ormai un circolino di anziani ciarlieri, capitanati dal padrone della ferriera, Alonzo Boot detto “Whizzer”, impegnati a passare le loro giornate in fenomenali dialoghi tra lucidi vecchi. Whizzer, alla vista di quella giovane decisa, che li apostrofa con un distaccato “voialtra gente” facendo capire loro la sua tenacia, accoglie la richiesta di aiuto. Dice a Nate il Grande, un giovane energumeno tutta forza e poco cervello impegnato a scaricare e caricare pesi da una parte all’altra della segheria, e al vecchio ma scaltro Lester di compiere la missione. Liberare Lillian da Blackway. Da qui, tra monti, bettole di quart’ordine come il Fort – dove “non ci si andava per giocare, non ci si andava per ascoltare musica. Al Fort si mettevano da parte le bambinate. Il Fort era un posto semplice, efficiente, una fabbrica per la produzione e la manutenzione di beoni” – scambi di perle di saggezza tra i vecchietti nella segheria, l’avventura si dipana secondo i suoi divertenti sentieri. Un libro veloce, secco, fatto di una doppia narrazione che oscilla – per l’appunto – tra l’ozioso discutere dei vecchi nella Dead River Chair Company e la cronaca della ricerca, da parte dell’improbabile trio – Lillian, Nate e Lester – di Blackway, l’orco rifugiatosi in una catapecchia nelle Lost Towns. Insomma, se avete voglia di qualcosa di leggero, che vi faccia sorridere, questo è il vostro libro. Datevi da fare. Burp