Whiplash, ovvro le conseguenze dell’amore per la musica nella brillante opera prima di Damien Chazelle
Qualsiasi appassionato di jazz conosce Buddy Rich, un modello di riferimento insuperabile per qualsiasi batterista.
Andrew Neyman studia nella scuola di musica più prestigiosa di New York e sogna di diventare il nuovo Buddy.
Per farlo, si affida al famigerato professor Fletcher, vero e proprio padre e padrone. Insieme a lui scoprirà cosa significa inseguire un sogno e il prezzo da pagare per conquistare la vetta.
È questa la storia raccontata in Whiplash, miglior film del 2014, con buona pace dei fanatici dei cecchini e degli uomini uccello.
Un prodotto sincero, capace di raccontare attraverso la contrapposizione tra studente e allievo, il significato della passione e amore per l’arte, in termini universali.
Lasciate da parte l’immaginario cinematografico sulle scuole di musica.
Quello descritto è un sentimento estremo e totalizzante, non ha niente a che vedere con le serie Disney. E la figura del professore è qualcosa di molto più vicino al capitano Hartmann di Full Metal Jacket che un insegnante di High School Musical.
Anche lui è un uomo in missione: deve scoprire il vero talento, a costo di mortificare e annientare psicologicamente i propri studenti. Il suo, tornando al paragone di prima, è un vero addestramento.
Come potete immaginare, il duello tra lo studente e il suo mentore rappresenta il focus del film. Se il giovane Miles Teller/Andrew stupisce con una prova solida e credibile, il palco è tutto di J. K. Simmons/Fletcher, che consegna alla storia del cinema un personaggio difficile da dimenticare.
Tutto il film nel complesso funziona davvero bene, merito di una sceneggiatura calibrata e ricca di colpi di scena. La regia dell’esordiente Damien Chazelle, claustrofobica e ossessiva, è attenta ai dettagli, alle sfumature dei personaggi.
E il montaggio, sincopato e dinamico come dovrebbe essere un film musicale, è da applausi a scena aperta.
C’è qualcosa di adrenalinico e inebriante in questo film. Ti fa vibrare, battere mani e piedi, soffrire e fare il tifo per il protagonista, anche quando sembra il momento di gettare la spugna.
C’è qualcosa che ti fa commuovere e sorridere al tempo stesso. Forse è quello che alcuni chiamano “magia del cinema”.