William Cuthbert Faulkner

Quando pensate a Faulkner cosa vi viene in mente?

A me vengono in mente tre cose: il premio Nobel , il sud degli Stai Uniti d’America e James Joyce.

Ora, del premio Nobel per la Letteratura che gli venne assegnato nel 1949 non penso ci sia molto da dire qui… se non il fatto che all’epoca della consegna, che avvenne nel 1950, nonostante un florido alcolismo in essere, pronunciò un discorso di rara lucidità e spessore morale. Un discorso nel quale si proclamava convinto della forza e della funzione della letteratura (del Poeta) come salvezza per l’umanità.

“The poet’s voice need not merely be the record of man, it can be one of the props, the pillars to help him endure and prevail”
(La voce del poeta non deve essere solamente il ricordo di un uomo: può essere uno degli appoggi, dei pilastri che lo aiutano a resistere e prevalere) 

Considerando che la seconda di due devastanti guerre mondiali era appena finite: beh, la cosa, secondo me, è degna di nota!

William Cuthbert Faulkner

Il Sud degli Stati uniti d’America credo mi venga in mente perché… beh perché Faulkner per certi versi è il Sud degli USA  di quegli anni.  Mi spiego: William Faulkner nasce nella famiglia dei Falkner, una famiglia storica per lo Stato del Mississippi. Il bisnonno di William fu il “Vecchio Colonnello” Falkner: un personaggione da romanzo che di romanzi ne scrisse pure. Il Vecchio Colonnello militò durante la guerra civile nelle truppe  sudistedistinguendosi in alcune battaglie. Negli anni a seguire divenne costruttore di ferrovie facendo una grossa fortuna. Ad una cittadina del Mississippi venne dato il nome Falkner proprio in suo onore, mentre  era ancora in vita. Una specie di celebrità, insomma. Ad accrescerne la fama, oltre ad una serie di duelli in cui fu coinvolto, fu proprio la sua attività di scrittore. Il suo romanzo “The white rose of Memphis” ad esempio vendette moltissimo.

Gli esponenti della famiglia Falkner che lo succedettero ebbero alterne fortune, anzi: fecero pendere le sorti della famiglia tendenzialmente verso il basso. Cominciò un declino familiare che attraversò le generazioni e arrivò fino a William Faulkner (Ah, per inciso, non è che fin qui  quando ho scritto della famiglia Falkner e di William Faulkner ho tolto o meno la “u” per  mero rincoglionimento o arbitrio, ma semplicemente perché il nome della famiglia è Falkner, e William nasce anch’egli, come è ovvio, con questo cognome.  Uno dei suoi primissimi editori, però, commette un refuso aggiungendo una “u” al cognome del futuro Premio Nobel e quest’ultimo decise di mantenerlo così fino alla morte). Da dove pensate che abbia preso spunto Faulkner per raccontare le sue celebri saghe delle grandi famiglie del sud?  Pensiamo a quella dei Compson… arrivò ad attingere a tal punto dalla propria storia familiare tanto da non cambiare neppure certi nomi di persone realmente esistite, che lui aveva personalmente conosciuto.

Non voglio certo sminuire l’ immaginazione o la creatività di questo grande Autore, ma voglio solo sottolineare quanto verosimile sia la rappresentazione che Faulkner dà del Mississippi di quegli anni. Questo non solo per quanto riguarda i nomi: pensiamo alle dinamiche sociali e alle tematiche che la narrativa di Faulkner tratta: il rapporto di dura contrapposizione tra i sessi, le tensioni e le discriminazioni razziali, la lotta per la ricchezza. Queste sono solo alcune delle tematiche che l’autore tocca con una potenza ed un’ efficacia magistrale. Proprio il fatto di far parte storicamente di quel mondo che narra, di avervi le radici piantate così in profondità, a mio avviso, gli permette di raccontarcelo in maniera così sublime. Questo intendo quando scrivo che Faulkner è il sud: mi riferisco al suo rapporto familiare, personale e narrativo-rappresentativo di quella regione.

William Cuthbert Faulkner

Il fatto che mi venga in mente James Joyce è da attribuirsi ad una sorta di sineddoche “mentale”… e anche qui vedo se riesco a spiegarmi. Da più parti è stato riconosciuto che William Faulkner  ha subito una fortissima influenza di stampo modernista, probabilmente è stato l’autore statunitense che maggiormente vi è stato influenzato. Pensiamo soltanto al largo impiego che fa di strumenti narrativi quali il flusso di coscienza o il flash back nelle sue opere. Pensiamo a “L’urlo e il furore”, in cui l’impianto narrativo è basato sulla scomposizione del piano temporale di classica concezione lineare-progressiva. Sempre in questo romanzo Faulkner fa largo uso del flusso di coscienza e anche quando non siamo in presenza di questo, la prosa tende ad essere costruita in periodi medio lunghi.

Dando una visione all’impianto narrativo complessivo saltano agli occhi due cose: un certo gusto per la ricercatezza o quanto meno una raffinazione della frase ed un serrato alternarsi di “particolare” ed “eterno”.  Come se l’autore un momento ti stesse descrivendo come il cucchiaio si infila nella zuppa e due righe dopo rifletta sulla sostanza celeste. Dal contingente all’assoluto in due righe. Questo credo sia il frutto di una sperimentazione che trae spunto da un filone di alta letteratura che trova il suo referente massimo in quell’inarrivabile Maestro che fu William Shakespeare. Una variazione di tono che tende a ritmare le opere di William Faulkner (in special modo “L’urlo e il furore”) sicché la sensazione è quella di essere cullati dalle onde del mare: basta prendere il ritmo per goderselo pienamente.

Quindi William Faulkner fu un uomo delle regioni del Sud degli Stati Uniti (certo, visse anche a New York, ma fu soprattutto il sud ad ispirarlo) e grande sperimentatore narrativo. Un uomo che era al contempo capace di scrivere pezzi di alta letteratura e di trattenere e leggere le riviste indirizzate agli altri nel periodo in cui lavorava presso un ufficio postale (comportamento questo, si converrà, blandamente biasimevole). Un Autore che lasciò un segno di riguardevole durata nel panorama culturale. Due esempi su tutti: si pensi al personaggio di Benjy nel “L’urlo e il furore”, al gioco di luci ed ombre nel quale questo viene presentato e al suo particolare punto di vista. Lo si metta in rapporto alle lunghe inquadrature fisse di Warhol: la somiglianza è disarmante.

William Cuthbert Faulkner
Per il secondo esempio dell’importanza di Faulkner pensiamo al romanzo “Santuario”. L’opera è ambientata durante la Grande Depressione e si sviluppa attorno ad una marmaglia di sbandati dediti alla distillazione di alcool, guidati dall’impotente Popey , che avrà il suo daffare a stuprare con un pannocchia(!) la giovane Temple Drake. Poi via in un parossismo di  morte, corruzione ed ironia che termina nel… beh, se siete curiosi ve lo leggete, perché secondo me, merita!  Come potete immaginarvi, quando questo libro uscì nel 1931 fece scalpore. Fernanda Pivano racconta che la gente lo andava a comprare di nascosto tanto era ritenuto socialmente sconveniente. I fatti narrati erano di una certa crudezza e all’epoca molti furono stupefatti dalla confidenza che l’autore sembrava avere nel descrivere l’ambiente della malavita. Descrizione che era appunto frutto di una magistrale capacità narrativa che faceva sembrare vera tutta la storia, soprattutto al lettore non troppo smaliziato degli anni trena. I lettori non erano infatti abituati a questo tipo di storie e tanto meno  a storie narrate con un grado di realismo e impeto come quello presente in Santuario. Non c’è da stupirsi quindi se quel romanzo viene indicato, per contenuti trattati e stile narrativo impiegato, come il precursore del genere Pulp.

Cosa possiamo volere di più da un Autore che credette strenuamente nella letteratura, scrisse moltissimo (anche per il grande schermo) prodigandosi in sperimentazioni di grande effetto, compose romanzi di vasto respiro e che piazzò in maniera sensazionale la pietra angolare di un genere come il Pulp?

Di un uomo che ha scritto (riferendosi ad un orologio): “Non te lo do perché tu possa ricordarti del tempo, ma perché ogni tanto tu possa dimenticarlo per un attimo e non sprecare tutto il tuo fiato nel tentativo di vincerlo.”

E leggiamolo questo Genio, cazzo!