The Wolf of Wall Street, ovvero Paura e Delirio a Wall Street. Una storia di eccessi sfrenata e smisurata, con un Leonardo DiCaprio da urlo
Lunga vita a Martin Scorsese. A 70 anni, il regista italoamericano predica ancora cinema. Dopo i gangster di The Departed e la favola di Hugo Cabret, torna a raccontarci l’epopea di un antieroe realmente esistito.
Il Lupo è Jordan Belfort, ex broker di Wall Street che a metà degli anni ’80, poco più che ventenne, fonda una società da milioni di dollari grazie a un talento innato e a una massiccia dose di cinismo e spregiudicatezza. Ma è anche un lupo tra i tanti predatori che affollano il mondo della speculazione finanziaria di quegli anni che lo porterà a cadere vittima di un’ambizione sfrenata.
Mentre muove i primi passi nell’ambiente, Jordan viene introdotto al mondo dei broker da un luciferino Matthew McConaughey, che interpreta il suo primo maestro. Denaro, droga e sesso, diventano ben presto i compagni inseparabili del protagonista, in un lungo viaggio verso le più assurde depravazioni.
Per questo The Wolf of Wall Street è un film sulle ossessioni e le dipendenze. Un tema caro a Scorsese che questa volta adotta la cifra della black comedy per raccontare una storia di eccessi così come dovrebbe essere: eccentrica, sfrenata e smisurata.
Il cineasta americano non pare interessato a dare un giudizio su Belfort e non troverete riferimenti alle dinamiche che si nascondono dietro il mondo dei broker. Scorsese si è divertito a raccontare una storia funambolica, utilizzando tutti i pezzi forti del suo repertorio.
Carrellate, slow motion e freeze frame in quantità industriali. E tanta musica, dal blues al punk, a porre l’accento sui cambi di ritmo. Con un omaggio all’Italia, che non vi svelo.
The Wolf of Wall Street è un caleidoscopio di luci, colori, suoni, personaggi e immagini che mantiene la presa nonostante i 180 minuti di durata, come un lungo trip cinematografico.
E Leonardo DiCaprio, nei panni di Jordan Belfort, ci regala un’interpretazione da urlo. Il suo Lupo è una sorta di Gordon Gekko perennemente strafatto, affamato di sesso e denaro. L’emblema dello yuppismo anni ’80, proteso alla ricerca del guadagno e del piacere ad ogni costo.
Altrettanto strepitoso Jonah Hill, attore che si è fatto conoscere nelle commedie demenziali e sta mietendo consensi anche nel cinema più impegnato. Nel film è Donnie, uomo di fiducia di Jordan ma soprattutto suo sodale nelle scorribande narcotico-sessuali che caratterizzano buona parte del film. Da tramandare ai posteri la lunga scena che li vede contendersi un telefono.
Il finale, apparentemente brusco e abbozzato, mostra la caduta del protagonista, e c’è spazio anche per un cameo del vero Belfort. Qualcuno potrebbe leggere una morale tra le righe ma sarebbe una forzatura, non credo che Scorsese voglia fare della morale. Quello che conta è tutto ciò che accade prima. Un susseguirsi di situazioni al limite del grottesco (vedi le orge in ufficio o il gioco a premi con “lancio del nano”) e dialoghi spassosi (il botta e risposta tra Belfort e il banchiere svizzero interpretato da Jean Dujardin è spettacolare).
Insomma siamo di fronte a un nuovo e luminoso tassello nell’immensa filmografia di Martin Scorsese.