DISCLAIMER, la recensione di Silvia Gorgi della serie di Alfonso Cuaron presentata Fuori Concorso all’81a Mostra del Cinema di Venezia.

DISCLAIMER di Alfonso Cuaron è un thriller psicologico che tiene alta la tensione e ruota attorno a come, nel mondo odierno, sia particolarmente facile manipolare la realtà, grazie a una narrazione in grado di recuperare elementi reali per creare una versione dei fatti.

Al centro della storia la magnetica Cate Blanchett, splendidamente diretta da Alfonso Cuarón, insieme a una direzione ben riuscita anche di tutti gli altri attori del cast, da Sacha Baron Cohen a Kevin Kline – in grande spolvero, davvero molto in palla nel ruolo di un insospettabile cattivo -, per questa serie, che dall’11 ottobre sarà disponibile su Apple tv+, presentata in anteprima mondiale a #Venezia81, dove ha fortemente conquistato gli spettatori del Lido. Prima di aver visto M. IL FIGLIO DEL SECOLO, era la migliore delle cose presentate al festival, ora è fra le migliori.

Dal romanzo di Renée Knight

La storia della serie, in sette episodi per un totale di 329 minuti, basata su un romanzo, LA VITA PERFETTA di Renée Knight, pubblicato in Italia la prima volta nel 2015 da Piemme, ci presenta la vita di successo della documentarista Catherine Ravenscroft, fresca di premiazione per una serie di indagini scomode raccontate nei suoi lavori. Per festeggiarla, la sera della celebrazione, il marito (Sasha Baron Cohen), appassionato di vini, non disdegna di aprire una delle sue bottiglie migliori, per stare al passo della donna che ha scelto.

Del resto lui, seppur ricco e appagato, non risplende come la consorte, è a capo di una holding che garantisce, non sempre in maniera trasparente, le amministrazioni delle ong, ma non ha né la fama, né il fascino di Catherine.

Una vita perfetta

Nella loro vita perfetta, l’unico neo apparente è il figlio, Nicholas, Kodi Smit-McPhee (rivelazione de IL POTERE DEL CANE del 2021, qui a Venezia anche in MARIA di Pablo Larraín), un giovane problematico, insicuro, che invece che frequentare l’università, lavora come commesso in un negozio di elettrodomestici – cult la scena fra lui e Kevin Kline alle prese con l’aspirapolvere Dyson – un vero e proprio irrisolto, mandato fuori casa dalla stessa madre, che ritiene ormai si debba fare una vita indipendente.

A far deflagrare questo scenario arriva un pacchetto, che contiene un romanzo, The Perfect Stranger, scritto in forma anonima. Catherine si mette a leggerlo, e vi ritrova un episodio del suo passato che lei avrebbe voluto celare per sempre, ma quel segreto non resterà custodito nel romanzo, come un veleno si diffonderà in ogni aspetto della vita della protagonista. Il libro è stato spedito da un professore in pensione.

Le linee narrative si moltiplicano

E le linee narrative si moltiplicano: c’è quella di Catherine e della famiglia, ma c’è pure quella del passato di Catherine – o di quanto si narra nel romanzo? – in cui la giovane donna viene interpretata dalla bellissima Leila George, figlia di Greta Scacchi e Vincent D’Onofrio, che regala allo spettatore le scene più hot – insieme a quelle di Guadagnino nel suo QUEER – viste alla Mostra del cinema, tanto da far virare il thriller ad una dimensione erotica, e da far guadagnare all’attrice lo scettro della più bella a Venezia81.

C’è poi la linea narrativa del professore in pensione, e di quanto è successo nel suo passato, negli anni in cui perse suo figlio, Jonathan, del dolore da lui in qualche modo gestito insieme alla moglie (una Leslie Manville incredibile, presente al festival anche nel film di Guadagnino). A un certo punto compaiono oltre al romanzo, anche delle fotografie, prova di una relazione fra la giovane Catherine e il giovane Jonathan?

Il passato pian piano s’insinua e finirà per polverizzare i rapporti familiari, portando lo spettatore nel cuore intimo dei suoi personaggi, con un paio di voci fuori campo: una si rivolge alla protagonista in seconda persona. Ma qual è la verità? Le armi della manipolazione e del pregiudizio sono più forti? Quante narrazioni di un fatto reale sono possibili, e quali effetti producono?

Una serie da vedere

Se nella prima parte presentata alla Mostra (dagli episodi 1 a 4) prendono forma queste domande, nella seconda (dal 5 al 7) il trauma si materializza completamente, portando con sé tutte le conseguenze, la sua presenza, il suo trasmettersi, mutando nelle generazioni, la sua negazione per cercare di mantenere una normalità apparente che si fonda oramai sul nulla.

Il silenzio invece che proteggere amplifica, la rabbia, il risentimento, la voglia di distruggere. Chi è davvero in grado di sostenere la verità? E soprattutto, il dolore? Un thriller da vedere, seppur presenti alcune incongruenze, e sia visibile, a un occhio esperto, il meccanismo seriale, che tiene incollati alla sedia, che possiede nella carismatica Blanchett l’arma perfetta per mettere in discussione i pregiudizi, e il mancato ascolto, per inscenare i sensi di colpa, e i rimpianti rispetto a ciò che non si riesce a perdonarsi; una sceneggiatura che si fa anche femminista, o per meglio dire che possiede un’attenzione per il femminile importante, per la serie di Cuarón, già Leone d’oro nel 2018 con ROMA, che, a Venezia81, fuori concorso, convince e conduce nel cuore della contemporaneità quando diviene fragile bersaglio dell’inganno.