KINDS OF KINDNESS, la recensione di Silvia Gorgi del nuovo film di Yorgos Lanthimos in concorso al 77esimo Festival di Cannes.

Cinico, nichilista, horror, estremo, nonsense, KINDS OF KINDNESS di Yorgos Lanthimos, è un’opera su cui discutere. Diviso in tre atti, o meglio tre episodi, la cui trama non chiude percorsi ma li lascia sospesi, KINDS OF KINDNESS, è un ritorno alle origini del regista greco, un po’ masturbatorio, macabro e intriso del suo sarcasmo nero, con protagonisti alla deriva.

Una parabola cupa ed esilarante, crudele ed esagerata che unisce tre segmenti narrativi di cinquanta minuti ciascuno attraverso una sigla (la scoprirete andando a vedere la pellicola).

Questi modelli di gentilezza, chiave di lettura del suo lungometraggio, conducono dritti ai tempi di THE LOBSTER e IL SACRIFICIO DEL CERVO SACRO, del resto Lanthimos torna a scrivere con Efthimis Filippou, e abbandonano per un attimo le sue ultime due prove, diciamo più mainstream, e retoriche, de LA FAVORITA e POVERE CREATURE!

Un film simbolico

Morbosamente legato ai corpi e ai volti degli individui, in particolare dei suoi attori, a partire da Emma Stone, divenuta sua attrice feticcio, di sicuro insieme a Willem Dafoe, qui c’è spazio anche per Margaret Qualley (presente a Cannes anche con THE SUBSTANCE, altro film sorpresa del festival), e Jesse Plemons (molto convincente nel primo episodio).

L’horror, il thriller, il grottesco, si mescolano in maniera amara e divertita in questi tre episodi che vedono gli stessi protagonisti in ruoli diversi. Di fatto in questi legami che sono anche giochi di potere, in cui la morte e il sesso s’uniscono a elementi di ingenuità e a oscuri dinamismi psicologici, tutto ruota attorno a quel che si potrebbe definire la domanda delle domande per KINDS OF KINDNESS, ossia fai quel che ti dico e t’amerò.

Di certo Yorgos si sarà divertito tra dita mozzate, scambi di coppia, sette alla Scientology, cercando di destabilizzare e provocare una risata dissacrante allo spettatore.

Girato, mentre stava portando avanti anche il set di POVERE CREATURE!, a New Orleans (Louisiana) KINDS OF KINDNESS è un lungometraggio simbolico, semplice e complesso al tempo stesso, anche se a tratti sembra essere di un Lanthimos che fa il verso a Lanthimos.

Ambientato in una città senza nome, di sicuro senz’anima, la casa è tutto fuorché un rifugio sicuro, dove le ossessioni, i desideri vengono condotti ai confini del reale.

Tre episodi

Nel primo episodio Plemons è un uomo che ha totalmente abdicato al libero arbitrio e ogni scelta della sua vita è frutto del rapporto di sopraffazione che esercita su di lui il suo datore di lavoro (Dafoe) con la giovane compagna (Qualley, mentre Stone entra in gioco verso la fine dell’episodio).

Nel secondo Plemons è invece un poliziotto, la moglie (Stone) sparisce e ritorna, ma lui si convince non essere davvero lei, e le imporrà delle “prove d’amore” che sono tutt’altro (fra dita mozzate e molto di più).

Nel terzo episodio Stone sale in cattedra ed è lei che per seguire una specie di setta purificatrice delle anime, in cerca di un soggetto in grado di far rivivere le persone morte, tra un obitorio e una sauna, condurrà la suaesistenza, in una follia sempre più accesa.

Un film labirintico

Un film labirintico che di certo non rassicura. Tre atti di sopraffazione e morte. Il dominio dell’uomo sull’uomo. E tu cosa saresti disposto a fare se condotto all’estremo? Qual è il limite del male? Quanto lo potresti spostare in nome di un pseudo amore che è gioco di potere o di una fede? Non il mio film preferito fra quelli dell’autore, che a Cannes comunque convince buona parte della critica, e che sarà in sala dal 6 giugno prossimo.