Silvia Gorgi ci racconta la mostra MONET. CAPOLAVORI DEL MUSEÉE MARMOTTAN MONET al Centro Altinate di Padova (visitabile fino 14 luglio 2024)

Entrare nel mondo e nella testa di Claude-Oscar Monet (Parigi, 14 novembre 1840 – Giverny, 5 dicembre 1926). Una boccata d’aria. Nello sguardo del pittore, nei suoi colori, attraverso le sue influenze, Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet di Parigi, in esposizione a Padova fino al 14 luglio 2024 al centro culturale San Gaetano, è un viaggio lungo la sua vita, i suoi spostamenti, alla scoperta dei suoi amici, che permette ad ogni spettatore di entrare in contatto e in sintonia sempre più con il movimento artistico che, ancora oggi, è forse il più conosciuto, a livello generale, fra i vari succedutisi nella storia dell’arte, e quello più amato.

150 di impressionismo

Tutti conoscono la corrente impressionista, eppure ai tempi in cui sorse il movimento fu denigrato, criticato dal pubblico e dalla critica. E, invece, quelle pennellate veloci, approssimative, che danno l’idea di un paesaggio attraverso uno stato emotivo, sono sempre di grande attualità, moderne, fresche, e in grado di avvicinare oggi il pubblico al mondo dell’arte. Il termine stesso, “Impressionismo”, venne coniato partendo da un quadro di Claude: Impression, soleil levant (Impressione, levar del sole), realizzato nel 1872.

Durante la prima mostra degli Impressionisti, nel 1874, nella galleria del fotografo Nadar, quel dipinto dette il nome al movimento, il termine fu preso da un articolo a firma del critico Louis Leroy, che per ironizzare sugli artisti espositori, li definì “gli impressionisti” nella rivista Charivari.

Un viaggio nel mondo intimo di Monet

Nella prima parte dell’esposizione è bello ritrovare una serie di dipinti che ritraggono Claude Monet, opere di suoi conoscenti e amici, a partire dal dentista Paul Paulin, che venne incoraggiato da Degas a scolpire, e che ritrae Monet in un busto tra il 1908 e il 1910; ma c’è anche un giovane Claude, realizzato dal pittore Carolus-Duran, nel 1867, e mentre legge un quotidiano L’Événement e fuma una pipa, ritratto di Pierre-Auguste Renoir, o ancora, ad opera di Gilbert Alexandre de Séverac, un Monet ventiquattrenne.

E se, con i problemi di vista che afflissero il pittore francese negli ultimi anni della sua esistenza, si può arrivare a dire che finì quasi per toccare l’astrattismo – con quadri che allontanandosi dalle tele restituiscono un’immagine, che avvicinandosi si fa più e più vaga – si può comprendere come l’artista abbia sempre precorso i tempi. Non a caso nell’ultima sezione della mostra – come nel caso de Il giardino di Giverny – è possibile vedere come da dettagli realistici masse di colori divengano la modalità utilizzata da Monet per rappresentare su tela i suoi soggetti: tale forma di pre-astrattismo finirà per influenzare nella seconda metà del Novecento i pittori astratti americani.

All’interno dell’esposizione patavina, a centocinquanta anni dalla nascita della corrente artistica, e che porta in città una sessantina di capolavori per rendere omaggio al padre dell’impressionismo, vi sono anche una serie di elementi e stanze “immersive” di sicuro effetto, inserite in maniera non eccessiva e nel giusto contesto, e che contribuiscono a valorizzare il percorso storico fra le tele di Monet.

Promossa dal Comune di Padova, con la produzione e l’organizzazione di Artemisia, e in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi, che custodisce la più grande collezione di opere dell’artista, donate dal figlio, Michel, nel 1966, la mostra, tra Ninfee, Iris, Paesaggi londinesi, olandesi, ha la curatela di Sylvie Carlier – curatrice generale del Musée Marmottan Monet di Parigi – e la co-curatela di Marianne Mathieu, storica dell’arte e assistente alla curatela del Marmottan Monet Aurélie Gavoille.

La natura

Quel suo occhio così attento nel scegliere in maniera dettagliata il colore, nel rappresentare la luce e le fasi del giorno, attraverso le sue celebri serie permette allo spettatore di sentirsi lì con lui, con il vento fra i capelli, i profumi della natura ad inebriare le narici, e la bellezza del paesaggio ad invadere gli occhi.

Era così vasta, talmente vasta la voglia di raffigurare tutta la natura che si ritrovava addosso lo stesso Monet, che, per cercare di compiere tale impresa finisce quasi per impazzire, e lavora a quelle che diverranno le Grandi decorazioni: per aumentare il campo visivo opera su più tavole, una accanto all’altra, per dare forma all’insieme, che è un tutto, infinito, che avvolge completamente.

Di sicuro, entrando nella sua testa, possiamo pensare di lasciarci trasportare dai suoi colori nell’essenza del vivere, al di là dei problemi e delle difficoltà, delle situazioni sociali, dei momenti storici, come quelli che lui ha vissuto, con le guerre incombenti ed in atto, e ritrovarci al cospetto di un mulino a vento nei Paesi Bassi, di fronte al Parlamento londinese, fra le montagne o nel giardino di casa sua a Giverny. E così, quell’uomo, negli ultimi anni affezionato alla barba lunga e bianca, con il cappello e il completo di lino, che visse ottantasei anni fra i colori, ci sembra di vederlo davanti agi nostri occhi e di fronte a quelle enormi tavole, avvolto dalla bellezza, con lo spirito di cogliere l’attimo, quell’impressione da lasciare sulla tela.

Una mostra da non perdere

Fino al 14 luglio è possibile prendere parte a questo viaggio nel mondo intimo di Monet, nella sua anima, dagli esordi, ai soggiorni in Olanda, Norvegia, Svezia, fino alle grandi tele, ammirando alcuni dei suoi più grandi capolavori, quali Ritratto di Michel Monet con berretto a pompon (1880), Il treno nella neve. La locomotiva (1875), Londra. Parlamento. Riflessi sul Tamigi (1905), le Ninfee (1917-1920), i Glicini (1919-1920).

Nelle diverse sezioni si ripercorrono le tappe fondamentali della sua pittura. Si parla della luce impressionista e della pittura en plein air, per arrivare dopo i soggiorni in terre straniere alla scelta di trasferirsi nella sua proprietà a Giverny, dove trascorre gli ultimi vent’anni della sua vita, e le sue tele si animano attraverso i fiori, il giardino, i salici piangenti, lo stagno, la barca con cui le figlie della sua seconda moglie navigavano sulle acque del fiume Epte, che scorreva nei pressi della casa. E dunque i monumentali pannelli con le Ninfee, che portarono alla realizzazione delle celebri sale ovali dell’Orangerie.

Sono esposti anche gli occhiali che Monet iniziò ad usare dopo l’intervento alla cataratta bilaterale, a lui diagnosticata nel 1912, e la sua amata pipa. Un percorso cronologico che avvicina a Parigi, un’occasione da non perdere per i grandi appassionati del pittore che non possono raggiungere la capitale parigina.

Per informazioni su biglietti, visite guidate, orari d’accesso: Arthemisia, tel. 049.09951, www.arthemisia.it, mail: info@arthemisia.it e ufficiogruppi@arthemisia.it.