Gomorra – La serie è dieci spanne sopra lo standard delle serie prodotte nello stivale grazie a scelte artistiche coraggiose e perfettamente azzeccate.

Gomorra, la serie televisiva – andata in onda su Sky e presto su La 7 e in 60 paesi nel mondo – ispirata al libro di Roberto Saviano e da lui ideata, è senza il minimo dubbio all’altezza della situazione. Gli episodi diretti da tre diversi registi sono una convincente e coinvolgente estensione delle vicende affrontate dal romanzo. Dipingono una Napoli tentacolare le cui lunghe braccia arrivano fino a Milano e Barcellona. Una città-quartiere logorata dall’infiltrazione insinuante della camorra in tutti gli aspetti della quotidianità.

La storia inquadra da vicino le vicende di una cosca capeggiata dalla famiglia Savastano che di volta in volta si relaziona con la famiglia rivale, il politico corrotto, l’imprenditore colluso, l”uomo d’affari del nord, con il traditore interno, con il carcere, ecc. Tutto funziona alla perfezione: regia, sceneggiatura, montaggio, fotografia, dialoghi, approfondimento psicologico ed evoluzione dei personaggi.

Tutto è molto credibile, vero, e proprio per questo le scene più crude ti colpiscono emotivamente come una lama nello stomaco. Una criminalità organizzata spietata, senza remore ne scrupoli. Pronta a tradimenti, vendette, attentati, esecuzioni a bruciapelo, assalti tra gruppi di fuoco, torture. Scene dure, spietate, senza via d’uscita. Esistenze senza possibilità di redenzione o lieto fine. Come nell’altra serie di successo italiana Romanzo criminale, l’alto livello di realismo di questa serie è rafforzato dalla scelta del dialetto verace. Non edulcorato o macchiettato come spesso si usa nelle commedie e nei cinepanettoni. Una scelta che richiama il neorealismo e l’Accattone di Pasolini.

Con l’inflessione sporca, volgare a volte incomprensibile si ha proprio il senso della parlata vera, quotidiana, di essere calati nei vicoli, nei palazzoni popolari fatiscenti, nei quartieri degradati e abbandonati nelle mani dei boss. È proprio questo più di tutto che forse aggiunge quello scarto qualitativo che pone questa produzione, a mio avviso, dieci spanne sopra lo standard delle serie prodotte nello stivale.

Ci hanno abituati alla recitazione impostata, perfetta, priva di accento, di scuola teatrale, (come se nella vita reale di questo paese fosse possibile imbattersi in situazioni in cui tutti parlano senza inflessioni dialettali). Nelle fiction italiane quando si usa il dialetto è solo per caratterizzare una macchietta o una situazione comica. In Gomorra il dialetto è la lingua ufficiale della criminalità. L’Italiano è la lingua del nemico. Dell’autorità, dello stato. Di quell’istituzione che teoricamente dovrebbe fermare o perlomeno contrastare l’espansione e gli interessi delle organizzazioni criminali.

I personaggi sono intesi, reali, solidi, scolpiti attraverso dinamiche di alleanza, inganno e doppio gioco. Anche nei legami parentali e di amicizia, sono interesse e tornaconto a determinare i rapporti tra i protagonisti. Tutto si muove per interesse, affari, soldi, potere. Un’ulteriore completezza della disamina del fenomeno è data dalla scelta di seguire linee narrative diverse, incentrando a volte l’attenzione sui grossi affari tra potenti, a volte le vicende dei giovani guaglioni che si avvicinano per la prima volta alle attività del clan.

Anche l’ambientazione si dipana tra scenari contrastanti. Le ville sfarzose dei boss, sedi di finanziarie, palazzoni dormitorio, celle carcerarie, uffici pubblici, hotel di lusso, edifici abbandonati, aree fagocitate da rifiuti e degrado. La camorra si infiltra e si muove dappertutto. È un sistema ramificato, una pianta infestante che per sopravvivere si adatta attingendo linfa vitale da ogni tipo di ambiente. Se proprio devo fare un appunto i dialoghi troppo sono un po’ seriosi. Troppo finalizzati allo sviluppo narrativo. D’accordo l’argomento è tosto ma un pizzico d’ironia non guasterebbe. C’è sempre questa dannata paura del politicamente scorretto nelle produzioni italiche.

Voglio dire, Joe Pesci in Casino massacra uno a calci facendo battutine sul pianto infantile del malcapitato. Questo rende la scena terrificante ed esilarante allo stesso tempo, però non sdrammatizza affatto la situazione, anzi, rende il personaggio ancora più spietato e terribile e probabilmente ancor più vero. Comunque la serie è bella e ben fatta e gli appassionati del genere non rimarranno delusi.

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