Se hai a che fare con le parole e le rispetti, se non scrivi perché quel giorno ti è venuta voglia di “buttare giù due righe”, probabilmente hai già notato che le parole non sono solo flatus vocis, fiato della voce, come sostengono i nominalisti, ma che generano corrispondenze e parallelismi col mondo reale, sia esso visibile o no. Non dico nulla di nuovo. La stessa radice della parola Cabala fa riferimento proprio al corrispondere, al creare relazioni o meglio: a mostrarle a chi ha gli occhi giusti per vedere.

Io credo sinceramente nel valore mistico della parola. Attenzione, non ho detto magico. La parola “mistico” deriva da una parola greca che significa misterioso. E la parola è oggi misteriosa perché il nostro mondo è vecchio e le generazioni di uomini che mi hanno preceduto hanno trasformato le radici, creato dialetti, idioletti, lingue e patois. Però, se cerchiamo bene e abbiamo gli strumenti giusti, alcuni misteri delle parole riusciamo a scorgerli. Lo strumento che voglio usare ora si chiama etimologia ed è uno strumento potentissimo, molto più di quanto ci immaginiamo. In un dizionario di etimologia, difatti, a mio parere si nasconde la nostra storia di esseri senzienti, comunicanti e in perenne evoluzione (o fuga) dalla parola che generò la nostra corrispondenza in questo mondo.

Oggi, per l’uscita di Savana Padana, dopo essermi riletto il libro che generò così tante corrispondenze nella realtà, vorrei parlarti delle parole del romanzo di Matteo Righetto e da lì, a mio modo, spaziare.

Come sa chi è venuto in auto col sottoscritto, pur usando il navigatore sono solito perdermi, sbagliare strada e raggiungere posti strani, a volte neppure segnati. Per questo comincio il mio breve saggio con una piccola avvertenza: io ti farò da nocchiero nel mare delle parole, di due parole per la precisione: sta poi a te decidere se il posto dove ti ho portato è quello che volevi raggiungere oppure no.

Le due parole da cui salpiamo sono quelle del titolo del libro: SAVANA e PADANA. La meta sono le due parole del mio titolo DENTE e BOCCA.

Il tragitto che faremo fin lì serve a raccontarti brevemente il posto in cui vivo e in cui vivono i protagonisti del libro.

Ho scelto questa strada da percorrere perché la cosa che mi preme di più, con un urgenza dolorosa, è mostrarti la tragicità di un mondo al crepuscolo e parlarti della grande gioia che provo ogni volta che vedo che da questo mondo morente ne sta nascendo uno più forte, sincero e nobile.

Dai dizionari etimologici che ho consultato, la parola Savana è documentata per la prima volta in Bartolomé de Las Casas ne La Historia de las Hindias. La prima corrispondenza utile la troviamo proprio nella vita e nelle opere di costui. Las Casas era un vescovo cattolico di origini spagnole vissuto ai tempi del colonialismo. Nella sua filosofia, la conversione religiosa dei nativi doveva avvenire attraverso mezzi pacifici quali la convivenza, la condivisione e l’accettazione di alcuni usi e costumi alieni ai cosiddetti “uomini civilizzati”. Difatti, fra le altre cose, si batté per denunciare lo sfruttamento e la schiavitù degli indios.

Pur rimanendo certo che la conquista di fede è comunque una conquista ed implica, quindi, una violenza, mi rendo conto che lo scontro di civiltà e culture diverse è uno dei sottotesti di Savana Padana. Il motore del romanzo (di cui ti prometto che non svelerò più del necessario) si avvia con lo scontro di tre gruppi etnici ben distinti, costretti a convivere nel paesino di San Vito e nei suoi dintorni. In tutti i romanzi e i racconti Sugarpulp il tema dell’integrazione (anzi: della non-integrazione) è un leit-motiv che emerge costantemente, veicolato proprio dall’opera d’esordio di Righetto.

Nel post-verismo scapigliato di Savana Padana infatti leggiamo uno dei grandi e più importanti problemi del nord-est italiano: la contrapposizione tra il razzismo e l’autoghettizzazione, due movimenti, l’uno attivo e l’altro passivo che impediscono l’avvento di una (da me) auspicata integrazione. La conversione pacifica di Las Casas era un’idea all’avanguardia ai tempi come lo è ora il tentativo di far convivere etnie differenti nel territorio di cui stiamo parlando. All’avanguardia, ma non impossibile o irrealizzabile.

Sia chiaro che il romanzo di Righetto non fornisce soluzioni: Savana Padana, come il resto del corpus di Sugarpulp si premura principalmente di raccontare gli aspetti della realtà attuale. Di nuovo, qui, il termine Savana ci viene in aiuto per interpretare questo processo. La Savana geograficamente è descritta come un grande spazio con vegetazione perlopiù erbosa o arbustiva che divide, o meglio: fa da transizione tra la giungla e il deserto. Le connotazioni climatiche e geografiche non ci interessano: mi preme soprattutto far notare il termine transizione.

Benché alcuni, modificando alla buona antichi miti per il loro tornaconto o ventilando una supposta identità razziale padana, credano che la terra in cui vivo sia di esclusiva proprietà di un ristretto numero di persone, la storia ci insegna che il nordest italiano e la pianura padana sono sempre state un crocevia di popoli. In questo, la San Vito di Righetto diventa lo specchio di una condizione storica preesistente, documentata ma resa ora più difficile dall’inserimento di nuove genti.

La Savana di Righetto si configura (ed è in realtà) un territorio di confine come lo era il vecchio west Americano, territorio da cui è nato il moderno epos degli Stati Uniti.

Se è ben noto che la giungla ha una sua legge, probabilmente nulla si conosce della legge della Savana. Nel testo di Righetto, questa legge è un patto di non-belligeranza, o meglio: non-intrusione. E’ ovvio constatare come questo patto sia in realtà una polveriera in attesa solo della miccia dell’autore ma mi preme di più notare come questa situazione, nel libro, sia resa con la metafora della strada.

“Ma da sempre San Vito è una strada che spacca in due l’intero paese” recita una frase nel capitolo 2. Una frase molto importante, quanto è importante il simbolo che evoca. La strada unisce posti lontani ma può anche dividere due posti vicini, proprio come il bar Sport e il bar Centrale di Savana Padana. Luoghi simili per scopo e per storia, ma diversi per frequentazione. Due ghetti o auto-ghetti che rispecchiano in realtà la tendenza preoccupante dell’incomunicabilità del nord-est.

La strada quindi diventa un muro, un fossato e il vicino, anche quando non è straniero, un estraneo.

Non credo che sia un caso che l’unico trait d’union fra i tre poli del romanzo sia un istinto, quello sessuale, descritto quasi sempre come ferino, animalesco anche se, in un certo modo, privo di sacralità e di emozione. Questo mi ricorda ciò che scrive Eliot nella Terra Desolata sull’incontro amoroso tra la dattilografa e l’impiegato:

“Lui cerca d’ impegnarla alle carezze 
Che non sono respinte, anche se non desiderate. 
Eccitato e deciso, ecco immediatamente l’assale; 
Le sue mani esploranti non incontrano difesa; 
La sua vanità non pretende che vi sia un’intesa, ritiene 
L’indifferenza gradita accettazione.”

Negli istinti di base, nelle pulsioni ferine scorgiamo la vera natura dei protagonisti di Savana Padana.  In una Savana, infatti, vivono le belve e, forse per caso, forse per scienza, forse per una corrispondenza inconscia, Righetto chiama due dei suoi boss rivali “il Bestia” e “Tigre”.

I suoi protagonisti, difatti, non appartengono alla bassa borghesia, non sono né dattilografe né impiegati. Nel cercare l’epica volgare del basso, dell’indesiderato, del criminale Righetto pone un altro paletto della poetica del movimento Sugarpulp, identificandone una delle figure-tipo: il piccolo criminale, il low-life, il “ladro di galline” che, a causa della mancanza di controllo degli istinti, causa guai ai suoi simili e al suo “capobranco”.

Il piccolo criminale di Righetto è l’Inetto Sveviano del movimento Sugarpulp, il paragone calza tanto più quanto si nota che l’inetto Zeno interpreta gli altri, i “non inetti”, i “sani” come individui bloccati in uno “stato solido”, immobili socialmente e psicologicamente. Proprio come l’inetto, il piccolo criminale, abituato alla non-legge delle Savana è capace di adattarsi, trasformarsi e affrontare una vita precaria. La vera differenza fra i due personaggi-tipo è che in Svevo, l’Inettitudine è un disagio esistenziale e psicologico che impedisce, frustra o deforma i contatti col mondo esterno mentre in Righetto, il criminale è oggettivamente inetto e incapace ma cerca comunque di creare delle conseguenze nella realtà in cui vive, danneggiandola.

Il Criminale, in questo senso, come nel vecchio west, è il vero abitante della frontiera dato che è stata la frontiera stessa a plasmarlo, in quanto terra non priva di leggi ma, anzi, piena di tanti, microscopici ordinamenti sociali in cui la Legge comune è solo una delle tante e neppure la più importante.

Gli ampi spazi della frontiera e i campi che circondano San Vito e molti altri paesini della bassa padovana ora mi stavano portando fuori strada, dico la verità. La città di Padova deve il suo nome al verbo latino “patere”, che significa “estendersi”. Essendo la Savana un territorio ampio e pianeggiante esteso, avrei ben preso la rotta che mi avrebbe fatto dire che l’aggettivo Padana deriva da Padova e quindi da Patere. Mi avrebbe fatto gioco dirti che il titolo Savana Padana è un’anafora di termini che afferiscono allo stesso campo semantico.

Le fonti etimologiche che ho consultato, tuttavia, non mi danno ragione.

La parola Padania deriva dall’antico nome del fiume Po e cioè dal latino Padus. Padus a sua volta sembra rivelare una radice indeuropea che significa “scavare” e da cui derivano pure i termini italiani “fossa” e “fossato”. Non a caso, poc’anzi, parlando della strada di San Vito, ho parlato di un fossato.

Seguendo questa rotta, affidandomi al vento della relazione e dei parallelismi e ricordando ciò che ho detto riguardo il Criminale di Righetto, mi pare giusto notare che il timore più grande del mio territorio è quello di scendere in profondità, nelle pieghe della cronaca, nella vera e propria Savana su cui si reggono gli edifici morali del nord-est contemporaneo, sempre più cedevoli dato che il fondo è ridotto ad un dedalo di fosse, scavi, doline e miniere.

La Savana di Righetto non è in superficie, benché visibile ad occhio nudo. E’ sommersa, sepolta, anzi: affossata.  E’ laggiù, dove l’occhio non vuole guardare. Spesso è nascosta da una realtà di facciata costruita da baci alle mogli, da costosissimi acquisti ai figli e da strette di mano in chiesa.

Se si vuole capire il nord-est, pare dirci Righetto assieme al movimento Sugarpulp tutto, bisogna scavare, scoperchiare qualche fossa. Non con il piglio dell’arbitro di moralità ma per puro istinto di verità. Per mostrare, quindi, non per predicare. Per testimoniare.

Laggiù, nel territorio dalle mille leggi della Savana, succedono le cose del nord-est

Il nostro viaggio sta finendo e credo che ancora tu non stia scorgendo la meta. Già: forse non ti ho portato dove volevi andare. Però credo che ti rammenti che all’inizio ti ho citato due parole: la Bocca e il Dente. Ebbene, queste due parole, la nostra meta, sono sempre state con noi lungo tutto il viaggio. Erano nascoste, è vero e ho bisogno di un altro strumento per mostrartele. Uno strumento potente quanto il pensiero, senza il quale neppure potrei scriverti queste parole, né portarti con me. Sto parlando dell’alfabeto.

Se tutte le parole sono reali, se hanno conseguenze sulla realtà, l’alfabeto contiene le particelle elementari che compongono tale realtà. Ne sono i noumeni. All’inizio, in un tempo in cui lettere e geroglifici si confondevano, l’alfabeto non era che un’insieme di parole. Prendiamo la lettera S, ad esempio. Nell’alfabeto fenicio, da cui derivano tutti gli alfabeti occidentali, la esse significava “dente”. Prendiamo ora la P: significava “bocca”.

Perché proprio queste due parole mi chiedi?

Perché Savana Padana inizia per S e P. E perché SP è l’acronimo di SugarPulp.

Lo so, ora la rotta non ti convince. La mia virata è arbitraria.

Io non commento, solo ti chiedo di aspettare. Se credi, c’è qualcosa di misterioso in quello che ti dico, non magico: solo misterioso, sepolto, per così dire, come le storie che raccontiamo. D’altronde due parole che si corrispondono così tanto, casualmente, ritrovatesi vicine…un buon investigatore sentirebbe puzza di bruciato.

Perché con la bocca si racconta sì, si parla. Dalla bocca nascono le parole.
E con i denti si mangia. Coi denti compiamo il primo passo per trasformare il mondo che ci circonda in carne, ossa, organi. In noi.

Io sono agnostico ma ricordo bene la frase di Gesù che dice “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Ebbene, pur non credendo al Dio a cui hanno voluto farmi credere, io credo che laggiù, nel posto da cui arrivano tutte le parole ci sia un punto di corrispondenza universale. Un Aleph, direbbe Borges. Una lettera che include tutte le altre.

Se c’è un modo per salvare la nostra Savana è quello di cibarsi delle parole. Di leggere. Questo cerchiamo di fare noi di Sugarpulp e abbiamo sempre più fame. Siamo ghiotti di parole ma siamo anche piuttosto schizzinosi. Non tutte le parole sono parole buone. Non te l’ho detto prima ma credo che tu lo sappia: non tutte le parole creano corrispondenze e generano parallelismi.

Dipende da come le pronunci, da come le scrivi.

Nessuno può insegnarti a capire quali parole siano buone da mangiare e quali no, tantomeno io. Ognuno, poi, ha i suoi gusti in fatto di cibo e questo è un bene.

Però ti dico una cosa, mentre finalmente attracchiamo: il mio territorio, il nordest, ha tanto bisogno di parole buone, vere. Ha bisogno di cibarsi perché è denutrito, sfibrato, stanco.

E ha bisogno che qualcuno lo racconti.

Questo fa Savana Padana, a suo modo. Questo facciamo noi di Sugarpulp, e lo facciamo nell’unico modo che conosciamo: condividendo le nostre parole buone e chiedendoti, se magari ti va, di fare lo stesso.

In fondo ti ho portato sano e salvo fin qui, no?  E’ stata lunga ma ce l’abbiamo fatta.

Non ti va uno spuntino?