Interstellar, lo odi, lo ami, comunque sia Christopher Nolan vi ama.

Vi ama perché è già un blockbuster e come tutti i grandi successi lui, il Chistopher, ci prende tanti soldi. Ma questo è tutto? No vi ama per altri motivi.

Primo sintomo di vero amore è per il genere, la fantascienza. Troviamo citazioni alla cinematografia fantascientifica sparse in ogni dove, ecco solo alcuni dei film ai quali i fratelli Nolan (si perché chi scrive le sceneggiature è il fratello Jonathan) si sono ispirati: Donnie Darko per l’idea cinematografica (non teorico scientifica) del worm hole spazio tempo, Nausicaä della Valle del vento per l’incipit eco-apocalittico, Contact per il viaggio interiore, 2001: A Space Odyssey per i silenzi e la magnificenza rappresentata (tutto il resto non c’entra una beata mazza), The Right Stuff che misura l’umana vita al limite delle proprie capacità, ecc…

Poi perché fare oggi fantascienza, quella più integralista, alla Interstellar è difficile se non impossibile per il cinema contemporaneo. Incredibilmente c’è tutto l’immaginifico mondo futuro che ti aspetti con tanto di robot, astronavi, viaggi nello spazio, sonni profondi, lag temporali, mondi in altre galassie e salti iperspaziali. Tutto stipato in “soli” 169 minuti.

Interstellar, la recensione di Andrea Andreetta

Ma i Nolan di turno ci amano tanto perché sono riusciti a farne un lungometraggio, mai termine fu più appropriato, epico sull’avventura della razza umana. Sul bisogno che l’uomo ha della scoperta, che “il viaggio” comporta sempre inesorabilmente. Certo non un tema nuovo ma Interstellar lo intercetta al 100% svolgendolo al meglio e per la sua interezza, anche quando si tratta di trovare il “se stesso”, l’io proiettato nel “tutto”.

Io lo amo perché Hans Zimmer mi regala un commento sonoro paurosamente vicino alla perfezione. La maestria e la puntualità con la quale accenta la tensione visiva è da vero maestro, forse una delle migliori colonne sonore dell’ultimo decennio perlomeno. Qui si supera per l’utilizzo minimale dell’orchestra, scevra di percussioni ma epica senza eguali, un Mussorgsky contemporaneo che dipinge i suoi “Quadri di un’esposizione”. Dal mio modesto punto di vista un Oscar ci starebbe tutto dopo The Lion King.

Interstellar, la recensione di Andrea Andreetta

Lo amo anche per la sua retorica visiva devastata dall’assenza, dai piccoli accorgimenti che solo un grande visionario poteva metter in gioco. Nel bene e nel male questo resterà storia, anche se avete odiato le infinite panoramiche o soggettive. C’è tanto di Inception e The Dark Knight nell’intendere la costruzione dinamica delle inquadrature, una caratura stilistica che sempre più distingue Nolan dal panorama hollywoodiano mainstream.

Amo il tema dell’amore. L’amore che tutto può e diventa mezzo/dimensione narrativa senza eguali per forza e pretesto in un genere come la fantascienza. Non confondiamoci con la filosofia di Arthur Clarke, portata al cinema dall’immenso Kubrick, perché Interstellar rimane un film “quasi” per tutti.

Infatti lo odio proprio perché un vero capolavoro sarebbe sceso a patti diversamente. Lo sappiamo il business chiama tutti ma sicuramente un finale che fa l’occhiolino così evidente al pubblico della domenica si poteva risparmiare. Il trasporto e l’emotività all’apice della tensione scemano in una sublimazione imbarazzante.

Interstellar, la recensione di Andrea Andreetta

Odio dover ammettere che Anne Hathaway è bravissima in questa parte pur con i suoi occhioni da cerbiatta, amo dover dire che Matthew McConaughey è uno degli attori più sorprendenti che mi sia mai capitato di vedere.

Odio le pecche e a volte la superficialità della storia che inficiano come ferite purulente la perfezione di questo prodotto, ma forse a ragion veduta dovremmo dire un esperimento cinematografico. Un esperimento pericoloso che schiera, divide pubblico e critica, forse proprio per questo capolavoro? Lo riguarderò tra 5 anni e vi saprò dire, però se dovessi azzardare un risultato… qualcosa resterà indelebile.

DA VEDERE 8/10

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