L’uomo che viaggiava con la peste è un romanzo che spiazza il lettore con una storia malinconica scritta da un autore in stato di grazia
Titolo: L’uomo che viaggiava con la peste
Autore: Vincent Devannes
Editore: Neo Edizioni
PP: 192
Prezzo: euro 15,00
L’uomo che viaggiava con la peste di Vincent Devannes è un romanzo che ti spiazza. E per fortuna, mi viene da aggiungere. Sì perché in un epoca in cui siamo abituati a leggere romanzi scritti benissimo ma sempre preconfezionati trovi una storia del genere e resti a bocca aperta.
Innanzitutto l’autore non spiega niente: la storia si sviluppa in soggettiva con il protagonista che racconta quello che succede, con scampoli di eventi che ci vengono presentati tra un paragrafo e l’altro, con impressioni che si mischiano a sensazioni, odori, ricordi, colori, bugie e passioni.
Niente è mai come sembra, tutto è sfumato. In una situazione del genere il lettore procede a tentoni, fatica un po’ a trovare il bandolo della matassa e in più di un’occasione torna indietro a rileggere qualche passaggio, se non addirittura qualche pagina, per provare a capire un po’ meglio la situazione.
Una scrittura molto lynchana (passatemi il termine), che racconta una realtà liquida e dai contorni poco delineati. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di un difetto, che il primo compito dell’autore è quello di spiegare tutto, di far sì che ogni cosa sia chiara al lettore, ma la mia risposta è molto semplice: chi se ne frega!
Certo, si fatica un po’ di più ad entrare nel romanzo, ma una scrittura del genere è stimolante, viva, perfettamente osmotica con la storia che viene raccontata da Devannes. Sì perché quella che trovate in “L’uomo che viaggiava con la peste” è una grande storia.
Il romanzo è ambientato nella Buenos Aires del dopoguerra, con tanti europei che hanno pensato bene di lasciarsi alle spalle gli orrori del secondo conflitto mondiale ricominciando una nuova vita in Sudamerica. Ex criminali di guerra, nazisti in fuga, agenti segreti disperati, gente senza passato, donne disperate: questi sono i protagonisti de “L’uomo che viaggiava con la peste”. Di loro, come di Albert Dallien, il protagonista, non sappiamo praticamente nulla, se non che stanno scappando da un mondo che preferiscono dimenticare. Tutto il resto è Albert a raccontarcelo: dobbiamo fidarci di lui?
E qui scatta la magia di Devannes, che grazie ad una precisa ricostruzione storica crea per il lettore pagina dopo pagina un’atmosfera liquida fatta di umanità varia, senza prendere posizioni morali, senza dare giudizi. Assistiamo alle miserie umane di chi vive ai margini, ma anche alla scalata sociale del protagonista che riesce davvero a costruirsi una nuova vita (ma qui rose e fiori non ce ne sono per nessuno). Lo stile super soggettivo della narrazione trasmette in pieno l’atmosfera calda e malinconica di quella Buenos Aires, il caldo e il sudore del Sudamerica escono dalle pagine e ti si attaccano alla faccia. C’è tutto il fascino perverso dell’Argentina e del Sudamerica di quegli anni, un fascino perverso di un paese in cui il confine tra la vita e la morte non esisteva, e se esisteva era molto difficile da vedere.
Devannes ci presenta la brutalità e la disumanità dell’uomo nella sua banale quotidianità, ci mette di fronte agli occhi esseri bestiali in situazioni assolutamente normali, riesce a comunicare con straordinaria bravura la violenza inaudita e gratuita di un mondo in cui, molto semplicemente, la vita umana non ha nessun valore. Il finale del libro poi con il suo stile semplice ti fa venire il mal di stomaco: raramente ho letto qualcosa di così violento raccontato in modo così lineare e pulito, senza nessuna enfasi, senza retorica, senza il bisogno di ricorrere a nessun trucco. Davvero da brividi.
Albert Dallien, il protagonista de “L’uomo che viaggiava con la peste”, mi ha ricordato tantissimo Zeno Cosini, uno dei personaggi che allo stesso tempo ha creato e incarnato la modernità: vive, fa delle non scelte, ci dice poco o nulla dei suoi reali sentimenti, è coinvolto senza saperlo in situazioni più grandi lui, fatica a rendersi conto di come gli altri lo percepiscono e, sopratutto, fatica a percepire il suo stesso sé. La vita gli scorre intorno e lui segue il flusso.
“L’uomo che viaggiava con la peste” è un libro per molti ma non per tutti, una scrittura con cui confrontarsi senza fretta e dimenticando le regole del buon romanzo preconfezionato. Se cercate una storia banale questo libro non fa per voi, se volete leggere qualcosa di forte accomodatevi, buona lettura.
P.S.
Ho letto questo libro in edizione cartacea e devo dire che quando si ha a che fare con libri così ben strutturati, così belli, con una grafica e una confezione tanto curate allora sì che la carta diventa un plus. Del resto quando si tiene in mano un libro pubblicato dalla Neo è sempre così…