Ho comprato Il letto di formiche incuriosito da una frase letta in quarta di copertina: Le formiche portano sempre in posti interessanti. Mi sono lasciato andare seguendo le formiche e mi sono ritrovato nel profondo nord est, in un paesino disperso tra i monti e la campagna dell’Istria.

Un paesino in cui cova un male profondo, di quelli che ti rodono l’anima e che ti lasciano un senso di malessere diffuso.

Questo è il classico libro che non ti aspetti da un italiano all’esordio, un libro che ti conquista con passo lento, pagina dopo pagina.

Emilio è un ex di brigatista di secondo piano che dopo tanti anni di carcere è ormai in stato di semi-libertà. La mattina lavora in fabbrica in una grande città, la sera torna in carcere a dormire. In occasione della morte improvvisa del fratello prende un permesso per andare a trovare la cognata: il libro inizia proprio con l’arrivo di Emilio al paesello.

Ma questo arrivo segna l’inizio di un viaggio tra un’Istria persa in una campagna quasi abbandonata, in cui i pochi rimasti vivono in un modo a parte. Una periferia che è prima di tutto periferia dei sentimenti e della ragione, in cui Emilio dovrà fare i conti con fantasmi mai dimenticati.

Il letto di formiche è un libro scritto benissimo, che mischia generi e reminiscenze che attraversano libri, generi e autori. Ci sono scene forti e che disturbano a livello di pancia ma che sono sempre funzionali alla narrazione e che riescono sempre a comunicarti emozioni vere: questo è un libro che affronta argomenti durissimi e in cui non c’è spazio per sentimenti o immagini consolatorie.

C’è tanta sofferenza tra le pagine de Il letto di formiche, una sofferenza che divora da dentro tutti i personaggi della storia e che accompagna il lettore fin dalle prime pagine.

Questo è un romanzo della periferia, un romanzo che racconta di persone dimenticate che vivono in luoghi dimenticati: qui la campagna rappresenta l’isolamento, la malattia, la morte. Il delirio è la condizione costante dei protagonisti che sono costretti a soccombere sotto il peso delle loro paure, schiavi di tutti i mostri con cui non hanno mai voluto (o potuto) fare i conti.

Tra queste pagine ho intravisto ricordi e reminiscenze delle tremende formiche di Cent’anni di solitudine, dei deliri paranoidi di film come il Sesto senso, del celebre cadavere in decomposizione del Gattopardo, di atmosfere cupe e malate di tante pagine (e tanti film) di Stephen King.

Eppure questo libro ha poco a che spartire con questi autori: Dalla Valle ha scritto in maniera personale e tremendamente efficace una storia che arriva diretta e senza filtri a centrare il bersaglio. Una storia che vale la pena di leggere, anche perché è scritta benissimo.