“Educazione siberiana”, l’ultimo film di Gabriele Salvatores, è un lavoro originale e interessante, anche se non del tutto compiuto.

La pellicola, tratta dal romanzo omonimo di Nicolai Lilin, affronta la storia della maturazione umana e criminale del protagonista Kolyma, e contemporaneamente quella del crollo progressivo di un mondo e di un modo di essere che assistono allo sfaldarsi inesorabile dei propri valori e punti di riferimento.

La narrazione attraversa i luoghi e le epoche, accompagnata da un montaggio frammentato, ma allo stesso tempo fluido, funzionale ad un racconto complesso e articolato che unisce diversi stati d’animo e differenti visioni della vita e della natura umana, riassumendo il tutto in un intreccio elaborato, ma agile.

“Educazione siberiana” prende spunto dalla spiegazione delle regole di vita e di morte del gruppo criminale dei siberiani su cui si incentra il romanzo di Lilin, e si sviluppa mostrando come il vivere e la Storia sappiano, grazie al loro incommensurabile potere di stravolgimento, contaminare o dissolvere i legami d’amicizia e di solidarietà che scorrono tra le persone e i popoli come fiumi carsici.

Educazione siberiana

Kolyma e Gagarin sono due fratelli in spirito, dalle comuni origini, ma dai caratteri molto diversi, anime di una terra dilaniata dalla povertà e dalle disordinate ansie di libertà e democrazia che agitano l’Europa dell’Est di quegli anni. Fratelli che, assieme ai loro amici, sapranno perdersi, per ritrovarsi e perdersi ancora, sconvolti dai grandi eventi che accadono loro intorno durante il crollo dell’Unione Sovietica e dell’illusione comunista.

Il balletto dei legami familiari e fraterni, intervallato dalle esperienze e dai personali sbagli di ognuno, continuerà fino a quando il destino non frantumerà la clessidra una volta per tutte, decidendo che il tempo della chiusura del cerchio, e della ricerca di un nuovo, definitivo domani, è ormai arrivato.

Le leggi severe del nonno Kuzya (John Malkovich, sempre ottimo), impartite a Kolyma e Gagarin, non sono più criminali di quelle che il resto del mondo applica da sempre a sé stesso e, come quelle, contengono inaspettati risvolti di umanità che tentano di impedire che l’uomo assomigli troppo alle belve dalle quali ha inteso differenziarsi raccogliendosi in una comunità di suoi simili.

La protezione dei deboli, degli indifesi, è una di quelle regole. Il rifiuto della tentazione sporca e corrotta della droga, è un’altra. La vendetta severa nei confronti di chi si macchia di crimini orrendi è un’altra ancora delle tante regole arcaiche che il nonno Kuzya impartisce a Kolyma (Arnas Fedaravicius) e Gagarin (Vilius Tumalavicius). Regole indispensabili, appunto. Ma anche regole che inevitabilmente mettono in conflitto i due volti della società, quello più e quello meno vicino alla mai dimenticata natura bestiale degli esseri umani.

Educazione siberiana

La regia di Salvatores è elegante e affilata, indovinando in larga parte i toni del film e regalando diverse sequenze partecipate e convincenti (come quella della grande giostra “per bambini”, o le varie scenette con i quattro amici storici della travagliata Fiume Basso).

Il regista di “Mediterraneo” e “Io non ho paura” non sembra però del tutto a suo agio con la storia che racconta, non sapendo darle fino in fondo la tragica profondità epica che meriterebbe. Pensare che cosa ne avrebbe ricavato lo Scorsese dei tempi d’oro, o anche il Nicolas Winding Refn di oggi, è forse un interrogativo ingeneroso, ma che comunque viene da porsi.

Anche la sceneggiatura, firmata dallo stesso Salvatores con Stefano Rulli e Sandro Petraglia, occasionalmente soffre dei meccanismi e del taglio delle fiction tv, più che accogliere in toto l’energica, sovversiva vitalità che un’opera cinematografica dovrebbe sempre quantomeno tentare di avere.

“Educazione siberiana”, nonostante tutto, dimostra che anche in Italia si può intraprendere, senza troppi rimpianti, la strada della rinascita di un cinema di genere di qualità. Basta non cadere nella tentazione di voltarsi indietro.

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