Il suono del grande Babù, un racconto inedito di Carlo Vanin per Sugarpulp

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Stamattina mio papà e mio fratello mi hanno fatto una testa così per la storia di Carraro.E hanno anche ragione, in fondo l’affare l’ho trattato io: è stata la mia prima commessa di una certa importanza. Ben tremila euro in scrivanie Gray Shark, quelle coi tubolari dietro per i cavi dei computer e in sedie anatomiche con le rotelline. Altri mille euro in boiate di cancelleria: penne, matite, gomme, fogli, toner e tutto il resto. Carraro mi ha svuotato il magazzino ed era talmente rompiballe con la consegna che sono andato io di persona a scaricare il camion assieme ai ragazzi.

Cazzo, sono il padrone io, ho appena cominciato è vero, ma non dovrei fare ‘ste cose. Solo che mancava uno in magazzino e ci sono andato lo stesso. Mio papà mi ha fatto i complimenti quel giorno: ha detto che è così che si lavora, che nella ditta bisogna fare tutto, anche pulire i cessi se c’è bisogno perché siamo in crisi e bisogna lavorare il doppio tutti.

Tutto bene, insomma. Il problema è che Carraro mi ha versato un acconto di seicento euro e poi non si è più fatto sentire. E son passate già tre settimane e sù in amministrazione stanno per chiudere il mese.

Adesso sono qui nel mio appartamento a Chirignago, nel mio scannatoio voglio dire, e la testa mi fa un male cane. Sono appena tornato ieri notte dalla fiera a Milano e c’era un tizio lì, un rappresentante di Dalmine che mi ha dato della bamba fantastica. Poi siamo andati in giro tutta la notte con due standiste. Andare per fiere è una figata ma ti lascia dei postumi da paura.

Ripenso a Carraro, alla sua faccia da culo e alle manate sulle spalle che mi dava, come se mi conoscesse da sempre. “Vassoler, tu sì che sei bravo, guarda qui: un paron che fa il lavoro di un magazziniere: eh, ma guarda che anch’io faccio come te, se manca qualcuno vado alle macchine io. So farle funzionare meglio di un operaio, cosa credi! Come sta tuo papà? E gli affari? Sai che la prima sedia economica me l’ha venduta lui?”.

Sedia economica, ha detto proprio così. Non ergonomica. Per poco non gli ridevo in faccia ma son stato buono. Buon cliente mi dicevo, tanti soldi, buon cliente, scarica e stai buono.

Buon cliente una sega. Mi ha anche fatto tirare via duecento euro e adesso non paga. E sono cazzi miei adesso perché sono io che ho gestito l’affare. Se lo sapevo che trovavo ‘sto casino al mio ritorno me ne stavo in fiera con la Barby e quella di colore, magari si riusciva anche a far venire fuori una cosa a tre.

Cazzo di Carraro.

Vado in bagno e non riesco a fare niente. C’è qualcosa che mi stringe il buco del culo e sudo un po’. E’ stata un’estate calda e ‘sto settembre qua lo è ancora. Il condizionatore mi ha mollato a metà agosto e i tecnici devono ancora passare. Non che ci viva tanto qui. Tra Ibiza e Santo Domingo quest’agosto non ho visto ‘sto cazzo di posto maledetto per un bel po’ di tempo.

Carraro. Carraro e le sue rughe da bulldog. Una faccia sciolta e una voce che sembra quella di uno che si è fumato una stecca di marlboro in dieci minuti. La puzza è anche la stessa. Mi ritrovo in soggiorno (o in quello che dovrebbe essere il soggiorno visto che, a parte il divano, i mobili li devo ancora comprare) con l’Iphone in mano e il numero di Carraro sotto il mio indice.

Sospiro. Fatti forza Dani, mi dico, vuoi dimostrare a tuo papà che non sei solo uno che ciuccia i soldi? Ti vuoi guadagnare quella Z4 che hai in garage? Chiama ‘sto Carraro, fatti dare i soldi. Tira fuori le palle. O ce le hai solo quando tiri di bamba?

No, per Dio.

Chiamo Carraro. Per tutto il cazzo di pomeriggio provo a chiamarlo. Una volta non mi risponde nessuno, una volta è in riunione, una volta è in magazzino, una volta è in catena, una volta non si trova. Una volta mi richiama lui ma non mi chiama più. Dico sempre che va bene e cerco di rimanere tranquillo ma dentro lo stomaco e nei polmoni sento che mi sta crescendo sù una specie di fumo nero come quello di Lost.

Poi, verso le sette di sera, quando già stavo pensando di doverlo andare a sgamare di persona, mi risponde. La sua voce è peggiorata, sembra che abbia il palato foderato di carta vetrata. E’ una di quelle classiche voci che ti fa immaginare tutto il catarro che c’ha in gola. Capirlo al telefono è un lavoro da interprete.

“Vassoler. Ho sentito che mi cercavi”.
“Eh, buongiorno Carraro, sì guardi la stavo cercando perché qua stiamo per chiudere il mese e lei deve ancora saldare l’ordine di tre settimane fa, sa le scrivanie, le sedie…”
“E certo che mi ricordo Vassoler, non sono mica rincoglionito”.
“E allora cosa vuole fare? Bonifico, assegno, quello che vuole”.
“No, senti Vassoler, guarda che io i soldi per le tue robe non li ho adesso”.
“Cosa? Come non li ha?”
“Certo che li ho i soldi. Ma non li ho da darteli a te. Ma sai che cosa sto gestendo qui? Sai che ditta c’ho?”
“Guardi che questo tipo di atteggiamento non è che ti porta tanto lontano Carraro. Te hai comprato…”
“Io ho comprato delle robe da voi. Vi ho dato fiducia da commerciante a commerciante. Ma sai che se mi piace la tua roba io ti faccio pubblicità? Sai che se viene qua il tedesco gli dico guarda questa sedia, me l’ha data la LineaUfficio di Vassoler? Il minimo che puoi fare è aspettare qualche mese per quella cazzata di migliaia di euro”.
“Se son pochi non capisco perché non me li vuoi dare”.
“Vassoler, come ti chiami te, Daniele?”
“Sì, Daniele”.
“Daniele, te sei appena arrivato nel mondo del commercio e ancora ti devi fare le ossa. Te non sai che cosa sto portando avanti io qui, io c’ho tutto investito in macchine e conti. Adesso non ti posso tirare fuori niente altrimenti mi sputtano. Aspetta due o tre mesi e i tuoi soldi vedrai che te li do e ti mando anche un pacco di natale a te e alla tua famiglia”.
“No, ascolta Carraro, bisogna che qua mi vieni incontro perché così fra due o tre mesi non va proprio bene. Guarda: te hai detto bene, io sono appena entrato nel commercio ma mio papà lo conosci. Se tu parli con me si sta sul dialogo, se parli con lui devi andare per avvocati”.
“Si vede proprio che sei un ragazzino, Daniele. Guarda che tuo papà lo sa meglio di me che se si va per avvocati i soldi li vede fra dieci anni se siete fortunati. Anche perché guarda le scrivanie che mi hai portato hanno tutte degli strisci sulle gambe…”
“Ma cosa stai dicendo?”
“Eh, portandole su le hai strisciate sul muro. Ci son ancora tutti i segni.”
“Senti Carraro, guarda, adesso metto giù perché mi stai facendo arrabbiare, la prossima volta parli direttamente con l’avvocato!”
“Certo, certo! Mandami pure l’avvocato! Lo aspetto in ditta e gli offro anche un caffè!”

Non metto giù il telefono, lo butto giù, lo tiro per terra. Poi lo riprendo e guardo che non si sia rotto niente. No. Però la telefonata è ancora aperta. Sento la voce catramosa di Carraro dall’altra parte che dice a qualcuno: “Era Vassoler, sai, il Vassoler bocia, il mezzo drogato…voleva i soldi!”

Mi sento come se qualcuno mi avesse appoggiato un ferro da stiro sulla faccia. Prendo l’Iphone, urlo una bestemmia con tutti i polmoni a Carraro e gli dico che sarei andato a fargli il culo. Poi metto giù sul serio.

Mezzo drogato. Ancora con quella storia. A Santa Maria Maggiore mi sono fatto solo una settimana comunque e quella di vendere le chicche non era neppure stata un’idea mia. Vaffanculo. Son passati quasi dieci anni e la gente ancora se lo ricorda. Vado a sdraiarmi a letto. Fuori è ancora chiaro. Apro la finestra della camera da letto per fare un po’ di corrente. Fa un caldo del cazzo e mi dovrei fare una doccia. Accendo lo radio e metto su M2O. Trasmettono sempre le solite cagate minimal o pseudo trance. La vecchia techno di una volta se la sono proprio dimenticata. Brutta cosa quando devi andare ad un remember per ascoltare la musica che ti piace.

Ogni cosa che penso mi fa solo incazzare di più. Mi seccherei tre alprazolam di fila ma è droga anche quella alla fine. Dovevo rimanere in fiera. No, anzi: dovevo rimanere a Santo Domingo con la Jasmine.

E invece sono qui e me la sono presa nel culo da un vecchio catarroso del cazzo.

La cosa più normale da fare sarebbe andare dal papà e spiegargli la storia della telefonata, compresa anche quella cazzata delle scrivanie strisciate. Ma poi so che viene fuori che in qualche modo è colpa mia. Sì perché sono io il drogato ciucciasoldi, sono io che devo dimostrare che ho le palle per il commercio. Me la devo vedere io da solo con Carraro.

Il mio primo pensiero è di mettere i soldi di tasca mia. Ho diecimila euro in conto e me li stavo tenendo per prendermi un cinque metri usato o una cosa così ma quello può anche aspettare, anche perché l’estate ormai è passata e non c’ho mica voglia di studiare per la patente nautica. Poi tanto magari Carraro paga veramente, magari fra due o tre mesi, i soldi li prendo io e siamo contenti tutti.

Madonna se mi va di tirarmi un po’ di quella roba del tizio di Dalmine. Me ne ha data un sacchetto pieno. Ce l’ho di là ma volevo tenerla per le grandi occasioni, non per togliermi le pare.

Che poi so come va a finire: tiro da solo, poi vado al Dolce, trovo i ragazzi e va a finire che mi ritrovo ubriaco marcio in qualche disco con lo stomaco vuoto. E’ così che fanno i drogati e io sono così.

No, cazzo. Non sono mica così e gliela faccio vedere io a Carraro. Altro che mettere i soldi di tasca mia. I soldi Carraro me li dà tutti e me li dà entro fine mese, col cazzo che mi lascio fregare così. Tra l’altro mi sta anche venendo una mezza idea, pensando al Dolce.

Mi ricordo quando sono andato a portare le Grey Shark sù in ditta da Carraro. Sudato marcio, aiutato da un interinale ciccione e tonto mi son fermato un attimo ad un boccione d’acqua per farmi una bevuta. E lì ho conosciuto la figlia di Carraro, la Vale. Cioè, è lei che ha conosciuto me. Lì per lì non c’ho fatto neanche tanto caso, tanto ero stufo e incasinato.

“Ciao, scusa, ma io non ti ho visto al Dolce qualche volta?”
“Eh, può essere. Ci vado spesso”.
“Vai via con Ricky, il Rosso e la Jessi, no?”
“Sì, ogni tanto. Perchè li conosci?”
“No, mia sorella era assieme a Ricky una volta. Ci sono uscita due tre volte”.
“Ah, sì. La Sami, da un pezzo che non la vedo. Come sta?”
“Ah bene bene. Si sta per sposare con un tizio che gioca in serie a di basket. Un negro, pensa”.
“Bé, se a lei piace va bene”.
“Eh ma mio papà sta dando di matto”.
“Vorrei vedere!”
“Mi chiamo Valentina comunque”.
“Daniele”.
“Così te lavori per Vassoler?”
“No, io sono Vassoler. Son qui solo per dare una mano perché manca un ragazzo”.
“Ah, che bravo”.
“Eh bisogna darsi da fare no?”
“Eh sì. Ascolta, casomai un giorno ci vediamo al Dolce, ok?”
“Ok, certo”.
“Sai che te assomigli tanto a quel cantante, come si chiama?”
“Ah Mario Biondi”.
“Eh…”
“Sì, me lo dicono tutti. Ma io son rasato, lui è pelato veramente sai?”

La Vale, adesso che mi ricordo, era una tizia abbastanza tranquilla. Occhiali, capelli raccolti. Forse un po’ bassa e un po’ troppo piatta per i miei gusti ma carina di viso. A parte il fatto che credo che abbia dieci anni meno di meno me. Allora non c’ho dato troppo peso, ci siamo salutati e io ho ricominciato a scaricare il merdoso materiale per Carraro, l’avessi mai fatto. Poi forse l’ho rivista una o due volte al Dolce, l’ho anche salutata ma non l’ho cagata più di tanto.

Stasera, che è sabato, quasi quasi la cago però. Perché sì, c’è una cosa che mi sta nascendo dentro la testa. Una specie di piano.

Io conoscevo la Sami, la morosa di Ricky, quella che adesso sta col negro. Una troia di prima categoria. Mi ricordo una volta, parecchio tempo fa, che abbiamo fatto quel festino a casa di Ricky a Jesolo e ce la siamo scopata in due, uno davanti e uno dietro. Eravamo fatti fino alle scarpe e non mi ricordo tanto di quella sera ma poi non se n’è mica più parlato, e ci credo.

Comunque se la Vale è come la Sami, se il sangue Carraro ama troieggiare, allora magari ho qualche possibilità di portare la piccola qua nel mio scannatoio. E se metto una bella telecamerina là fra il libri finti, riprendo tutto e minaccio di mettere tutto sui siti porno di mezzo mondo allora Carraro dovrà per forza cacciare fuori i soldi.

Quello che si dice un piano del cazzo… ma gliel’avrei fatta vedere a Carraro cosa sa fare questo mezzo drogato. E forse sarei riuscito anche a scucirgli qualche migliaio di euro in più per la barca, ma senza esagerare. Mica sono un delinquente.

E poi sta cosa l’ha cominciata lui, mica io.

***

E così vado in bagno, mi raso ben bene la testa (se le piace Biondi, Biondi avrà), mi regolo il pizzo e i peli dell’uccello, mi verso una mezza boccetta di Bulgari addosso e mi metto la camicia D&G che ho preso a Venezia qualche mese fa spendendo un capitale. Recupero dal mio nascondiglio il magico sacchettino con la polvere dell’allegria di Pollon e una mezza blu per sicurezza.

Neppure mezz’ora dopo sono al Dolcevita coi ragazzi al terzo spritz Campari.

Se c’è una qualche specie di dio dei venditori di arredi per ufficio, allora stasera tanto per cambiare mi sta dando una mano. La Vale è lì e guardate, mi sembra molto più figa di come me la ricordavo. Ha un look un po’ dark che a me fa parecchio arrapare: occhi cerchiati di nero, labbra rosse, carnagione pallida. Ha sempre gli occhiali e tiene i capelli raccolti ma questi particolari ora mi ricordano più una pornosegretaria che una brava ragazza. Danielino, fra le mie gambe, sembra gradire il tutto tanto quanto lo gradisco io. L’approccio è il più facile di tutta la mia vita, parlando di venete ovviamente.

“Ciao”.
“Ciao, allora ci rivediamo!”
“Con chi sei?”
“Sono con delle amiche che sono qui in giro”.
“Bevi qualcosa?”
“Ho già ordinato un americano”.
“Cosa fate di bello stasera?”
“Mah, si pensava Showroom…”
“E’ già aperto?”
“Oggi è l’apertura? Non lo sapevi?”
“No, son tornato da poco da una fiera a Milano. Ma sono un po’ indietro con le news della vita notturna qua in giro. Quest’estate sono stato sempre in giro…”
“Ah, e dove di bello?”
“Ibiza…”
“Ibiza? Non ci sono mai stata, com’è?”
“Non andarci. Una colata di cemento piena di gente. Sembra piazza Ferretto quando ci fanno i mercatini, solo coi drogati al posto dei vecchi”.
“Ha ha ha…”
“Chi suona allo Showroom?”
“Mah, penso i soliti. Ma viene anche giù uno famoso non so da dove”.
“Ben. Lo propongo ai ragazzi, così magari ci vediamo dentro”.
“Magari”.
“Però se ci vediamo, aspetta prima di bere che ti offro io”.
“Eh, farò questo sforzo…”

Mi allontano sorridendo ma poco prima di voltarmi verso i ragazzi, vedo che una delle amiche della Vale le si avvicina e le parla. Leggo il labiale: “Chi è quel figo?” O così mi pare. Dentro di me tiro un porcone. Se non ci fosse la storia di Carraro di mezzo questa potrebbe anche essere una bella serata. Non mi va mica di sputtanare una ragazzina per colpa di quella testa di cazzo di suo papà. Uff… Dani e i suoi sensi di colpa. No. Devo andare avanti.

Devo riaverli quei soldi.

***

Lo Showroom è la solita ressa invivibile, come quasi tutte le disco dei dintorni. Fortuna che mi fanno parcheggiare la Z4 proprio davanti all’ingresso e che uno dei buttafuori è un mio vecchio fornitore di chicche ai tempi d’oro di Jesolo. In meno di cinque minuti sono già dentro con la mia bella Vip Card e due consumazioni omaggio. I ragazzi, manco a dirlo, son tutti contenti e si sparano subito al bar.

Io mi guardo in giro con fare casuale e cerco la Vale.

Individuo una delle sue amiche, una cavallona bionda alta quasi come me. Un po’ più in basso c’è il mio obiettivo: la Carrarina. Bene.

Aspetta, mi dico. Aspetta un’oretta. Magari falle venire su la balla che sicuramente si è presa. Poi colpisci. Veloce, indolore. Non proprio indolore. Neppure veloce si spera. E così faccio. Sto un po’ coi ragazzi, imbarco una tipa per Ezio che da solo proprio non ce la fa neanche con tutta la bamba del mondo, incontro una mia ex che mi tira su una menata sul suo capo di cui francamente, tra la musica e tutto, non capisco una sega.

Poi mi dico: vai Dani. Vai e fallo bene.

Recuperare la posizione della Vale è più difficile stavolta. La disco si è riempita ancora di più, se possibile e siamo tutti stretti come merde. Fortuna che la mia povera mamma mi ha fatto alto e con le spalle larghe e tra sgomitate e scusa e permesso rivedo la cavallona, lassù, in zona fumatori.

E dove c’è la cavallona c’è anche la Vale perché non è proprio possibile che le fighe girino da sole. Non entro nella sala fumatori perché una volta ci sono stato e ci ho lasciato giù tre quarti di polmone. Come fa la gente a starci dentro… questo non l’ho mai capito. Io manco fumo più poi, almeno quel vizio me lo sono tolto.

Con nonchalance o come si dice l’aspetto fra la calca che cerca di scendere dalla camera a gas e quella che cerca di salire. Un ragazzino targato Bikkembergs mi saluta e mi dà il cinque. Devo averlo già visto da qualche parte a qualche festa ma non riesco mica a ricordarmi dove. Avvicina la bocca al mio orecchio e urla di essere proprio fuori. A giudicare dal suo alito sembra che abbia già consumato più di metà della sua drink card. Bé, dopo la metà comunque è tutta discesa.

Scorgo la Vale e la sua amica che scendono, io cerco gli occhi della Vale e mi faccio vedere. Con il pollice mi indico la bocca. Vedo che i suoi occhi si illuminano, annuisce, dice qualcosa alla sua amica e mi si avvicina. Il ragazzino la vede arrivare e anche se inzuppato di havana cola fino alle ossa capisce che è di troppo e si allontana.

“Però sempre belle fighe che hai te” mi dice. Mica è fortuna, coglione, penso io.

Andiamo al bar con la Vale. Lei mi dice qualcosa all’orecchio, io mi devo proprio abbassare di un bel po’ per sentirla e poi manco sento cosa dice. Annuisco lo stesso. Penso che ci potrebbe essere un problema se dobbiamo fare il 69 e rido.

Al bancone del bar l’ambiente è ancora meno vivibile del resto. Una folla di corpi sudati si accalca e a me viene in mente che una volta non era così. Sconvolti ne ho sempre visti, lo sono anche stato io ovviamente. Ma qui ce ne sono veramente troppi. Che poi questi non sono neanche sconvolti originali. Sono solo tanto bevuti. La metà ha tirato, è quasi logico da quegli occhi da assassini che hanno, ma chissà cosa. Ecco cosa sono: imitazioni. Hanno la roba, i vestiti e magari le macchine. Ma quello vero sono io qui.

Ecco perché trovo la Strada.

La Strada la conosce bene chi ha quasi trent’anni di disco nelle gambe e nel fegato. Non sei tu a trovarla nella calca: è la gente che automaticamente, senza vederti, te la crea. Perché questi cloni mezzo rincoglioniti mi sentono. Sentono quando c’è uno come me che arriva. E la Strada, qualsiasi percorso tu faccia in mezzo alla disco alla fine ti porta solo in un posto: davanti al bancone del bar.

E infatti sono qui, adesso. Con la Vale davanti a me. Il mio corpo la protegge dalla folla accalcata. So che ha sentito la pressione che il cavallo dei miei pantaloni le fa sulla schiena. Alla fine non c’è voluta nessuna Blu. E’ bastato bere meno del solito.

Nuovo colpo di culo: il barista è uno che ho già visto. Il nome proprio non me lo ricordo ma mi sa che abbiamo passato qualche estate insieme. A vedermi gli scatta un sorrisone. Il tizio è uno di quelli giusti, se ne incontrano ogni tanto dietro ai banconi dei bar delle disco. Non fanno tanti discorsi né giochetti con le bottiglie e resto. Ti danno quello che vuoi e senza troppo ghiaccio.

“Uè Dani, allora come va con il bolide?” mi chiede subito. La sua è una voce da disco, una di quelle che si sente anche se stanno suonando Capricorn a tutto volume.
“Eh, l’altro giorno mi è arrivata una bella foto che mi ha fatto la polizia. Mi facevano i complimenti!”

Lui ride. Io rido. Ride anche la Vale, sotto di me. E’ fatta mi dico. Si va giù di gin lemon. Prendere qualcosa tipo Long Island mi sembrerebbe un rischio dato che magari c’ho del lavoro da fare. Danielino è sensibile a questo tipo di cose.
Si torna in pista e a ballare un po’. La Vale non sembra neppure così fuori ed è bella. Neppure il dj è proprio così una merda come mi aspettavo. Di questi tempi sei abituato a vedere gente che mixa col Mac, invece questo c’ha i vecchi vinili. Lo vedo lassù che s’impegna e il risultato non è male. Sempre minimal del cazzo, ma coi passaggi ci siamo e qualche bella rullata la becca anche. Non mi struscio subito. Lascio che la Vale si diverta. Gliela faccio venire sù. Ad un certo punto lei mi tira e mi chiede se c’ho qualcosa da darle per stare un po’ su che si sente un po’ stanca.

Certo che ce l’ho ma deve venire in macchina che qua non mi fido. Hai capito la Vale.

Dopo neanche cinque minuti siamo sul mio mezzo a provare la ricetta per il raffreddore del tizio di Dalmine. Lei non sembra ancora così fuori. Tiene bene botta e questo è un bel merito. Non è una come tanti, come quei replicanti aggrappati al bancone del bar. Lei fa le stelle quando si muove, come uno di quei cartoni giapponesi. Forse sono io ad essere fuori. Fatto sta che si mette a parlare e mi dimentico del mio piano di vendetta. Non può fregarmene di meno di Carraro, di mio papà e mio fratello, delle scrivanie, dei soldi. Mi interessa quello che sta dicendo la Vale e cosa strana, a lei interessa quello che le dico io.

Lei mi parla del suo sogno che è fare la stilista. Mi dice che con una sua amica hanno tirato su un piccolo laboratorio di moda. Fanno jeans strani e roba per i giovani. Camicie, magliette. Han detto che forse se le cose vanno bene aprono un negozio ma che adesso le cose non vanno tanto bene. Lo so, lo so le dico. Non è un momento bello questo. Mi parla di suo papà, che è incazzato per la storia di sua sorella e del negro. Dice che la vuole mandare via dalla famiglia ma tanto è sua mamma che comanda: è lei che c’aveva i soldi all’inizio, suo papà le idee.

Poi, d’un tratto, mi chiede: “C’hai mica una cosa dolce…tipo un chupa chupa?”

Io la guardo negli occhi. Occhi neri che mi fanno venire in mente cose belle a cui non pensavo più da tanto. Il mio primo pensiero è che stia alludendo a qualcosa che riguarda Danielino ma non è così. La Vale non è così. E anche ‘sta serata non è come le altre. Perché… perché magari non c’è un dio per i venditori d’arredi d’ufficio, ma forse c’è qualcuno che mi sta veramente dando una mano, indicandomi una strada. Forse le cose della vita sono come una folla di gente al bancone del bar di una discoteca. A volte, quando sentono che arriva qualcosa di grande, di importante, si aprono e ti fanno vedere la Strada.

Perché io i chupa chupa ce li ho. Dietro, nel bagagliaio. Non mi ricordo neanche perché li ho lì, io non vado proprio matto per le cose dolci. Fatto sta che è da un po’ che sono lì. Dico alla Vale di aspettare due secondi, scendo e apro il baule. I chupa chups sono in una confezione trasparente a cilindro che giuro mi occupa quasi un quarto dello spazio. Dovevo essere proprio fuori la volta che li ho presi. Spero che non si siano sciolti, col caldo che ha fatto ‘sta estate.

Porto alla Vale tutto il cilindrone e lei si mette a ridere.

“Eh, di quello che c’è non manca niente!” le dico io. E’ una delle frasi tipiche di mio padre. Dopo un po’ siamo tutti e due a ridere come degli allucinati. Io attacco l’autoradio fra le risate e istantaneamente parte un martello di cassa dritta a chissà quanti decibel.

Cazzo, ma sono arrivato con questo volume?

La Vale fa un gridolino e io abbasso.
“Che cos’è?” Mi chiede, indicando le casse.
“La musica?”
“Sì.”
“E’ un dj dei miei tempi. Ti piace?”
“Sì.”
“Senti questa.”
Metto la numero cinque. Un pezzo che mi è sempre piaciuto che si chiama Il suono del grande Babù. Una cosa delirante già ai miei tempi con quel sinth lungo e distorto che sembra quasi l’urlo di un mostro e la cassa che non ti molla mai. Techno vera, non suonini stronzi e casse spompate. La Vale sembra apprezzare: scarta il suo chupa chups e se lo mette in bocca. Per un secondo i nostri occhi si incontrano. So cosa vede dentro i miei perché sorride.

“Ma senti, chi è che hai detto che è questo dj?”
“Si chiama Laurent Garnier. E’ un francese. Sabato prossimo suona all’Area.”
“Bello!”
“Ti va di venire?”
Lei fa di sì con la testa mentre chupa il suo chups. Poi indica la disco con la testa e chiede: “Andiamo? Che sennò la mia amica…”
“Andiamo.” Dico io. Sono un po’ frastornato. Non so se è per colpa dell’alcool, della bamba o della Vale. Spengo l’autoradio, porto il cilindrone di chupa chups in baule, aiuto la Vale a scendere. Sono in uno di quei momenti che credo abbiano solo gli uomini, in cui non si pensa a niente e si agisce e basta. Appena chiudo la macchina e mi giro verso la Vale lei mi tira giù e mi da un bacio che sa di fragola e gin. Poi fa una cosa strana: mi abbraccia.

Io non so se ho mai abbracciato una donna da vestito.

“Sì che mi va di venire.” Ripete lei quasi sussurrando. Non mi ricordo neanche a quale domanda sta rispondendo talmente sono fuori.

Poi mi prende la mano e mi riporta dentro, a ballare.

continua…