“Una porta verso un mondo brillante, emozionante. Alfredo Colitto fa vivere e respirare la storia”. Don Winslow

La porta del paradiso

La porta del paradiso è un’organica, costante e imperitura delusione per il pignolo amante della Storia che non vede l’ora di stanare strafalcioni e bestemmie spazio-temporali per alimentare il proprio ego. Niente, neanche l’ombra. Ci sono persino le scuse, nella nota dell’autore a fine libro “se ho commesso degli errori” (gnegnegne, visto che non ce ne sono). Tu leggi, sei lì che li cerchi e man mano ti si sgretola la speranza.

Le tue conoscenze storiche non bastano: hai bisogno di aiuto e per fortuna c’è Facebook.

Scopri che il tuo compagno di scuola che nessuno invitava alle feste perché da grande voleva fare l’ingegnere navale è effettivamente riuscito nei propri intenti. Gli telefoni, te ne congratuli e gli chiedi di dirti tutto ciò che sa su galeoni, rotte atlantiche per il nuovo mondo, storia della marineria, zolfature dei barili e vele latine. Non contento, lo interroghi su ombrinali, paterazzi, bompressi, casseri e colubrine: sconsolato, torni a caccia nel tuo libro.

Ecco, finalmente: ha sbagliato un congiuntivo! Lo dicevi tu che era un libraccio da nascondere alla tua biblioteca. E invece no: hai sbagliato tu a leggere perché hai confuso due righe. Se almeno fosse noioso, troveresti un po’ di sollievo alle tue ansie da cacciatore. Fosse scritto con i piedi, non staresti lì a piegare l’angolino di una pagina su dieci perché c’è quel passaggio che ti piace tanto. Ti consola il pensiero che è un mattone di 456 pagine e che presto diventerà una palla compilativa. Che ci vuole a scrivere bene per 50 pagine? Sei certo che il buon sapore di minestrina allungata ti accoglierà presto con la propria rassicuranza.

Ad un certo punto, arrivi in Messico e sei certo di smascherare il solito scrittoraccio che usa l’artificio del posto esotico per scrivere un mare di ca.. sualità. Eh, ma qui casca male, il caro Colitto. Tu ci hai vissuto in quel miracolo di crogiuolo di uomini, sassi, odori e monumenti vegetali. Conosci i miscugli del sangue, il suono duro delle parole che non sei mai riuscito a pronunciare. Tu hai chiesto e la polvere ti ha risposto, anche le volte in cui non hai capito cosa intendesse dire. Per questo, hai promesso alla tua memoria messicana che l’avresti difesa dai Cancooonisti: leggi con il coltello tra i denti. Niente: è tutto assolato, confuso e preciso come l’avevi lasciato. Questo libro conosce e ama meglio di te lo stesso Messico tuo.

Sempre più demotivato, speri che almeno la miniera ti riservi qualche patacca (ma in fondo sai che non c’è più speranza, che sei già stregato). Telefoni al tuo amico d’infanzia (quello che nessuno invitava alle feste perché da grande voleva fare l’ingegnere minerario), fiero di aver finalmente trovato un senso alla sua vita. Scannerizzi la parte di libro in cui l’argento si separa dalle scorie e i macchinari e i procedimenti e le viti di Archimede e blablabla, gliela mandi sperando che trionfi dove gli altri hanno fallito. Il dott. ing. ti risponde dopo tre giorni dicendo che ha comprato il libro e che è bellissimo, ti ringrazia. Tu, nel frattempo, il libro l’hai finito perché non riuscivi a smettere, ma non glielo dirai mai.

Questo libro ti ha conquistato e non te ne sei neanche accorto, perché eri troppo impegnato a tentare di smontarlo. Ha usato i sogni che ti facevano viaggiare da bambino, i pomeriggi delle avventure per mari e terre sconosciute, le passioni trepidanti del ragazzo, gli amori incasinati degli adulti. Con il senno del poi, avresti voluto leggerlo vent’anni fa e rileggerlo adesso.

C’è la Storia che piace a te, quella scalza del popolo minuto, che s’incastra con il coraggio della fantasia. C’è la dignità che si difende dagli abusi del potere torbido e tu non puoi che parteggiare insieme al destino delle pagine. C’è il peso delle decisioni e la responsabilità per le scelte fatte. C’è l’iniquità che ti fa accartocciare l’esofago e la nemesi che non è mai scontata.

Ci sono notti buie e sempre la speranza, un po’ più in là. C’è l’amore non stucchevole, dappertutto, che disegna la trama e le altre stelle.

La porta del paradiso è un libro dei due mondi, andata e ritorno ma ripartiresti subito. E’ scritto con una cura che ti accarezza l’immaginazione. E’ un viaggio bello come non te l’aspettavi, in cui ti perdi volentieri mentre ritrovi delle cose così tue che non le puoi spiegare.