Con Promised Land Gus Van Sant affronta la scomoda tematica delle trivellazioni operate dalle lobby petrolifere, senza però affondare il colpo con particolare convinzione.

Premetto che nutro da sempre una profonda ammirazione per Gus Van Sant ed il suo modo di fare cinema, affrontando spesso tematiche scomode senza trascurare un tocco autoriale che eleva qualitativamente i suoi prodotti dal limbo mainstream.

Con notevoli aspettative mi sono avvicinato alla visione di Promised Land, ultima pellicola di questo poliedrico regista.

Promised Land

Steve Butler, interpretato da un Matt Damon in forma e convincente, è un self made man che aspira al successo come rappresentante di una potentissima lobby petrolifera, la Global, intenzionata a praticare trivellazioni, il famigerato fenomeno del “fracking”, in zone rurali e piuttosto povere degli States, promettendo profitti e benessere agli agricoltori in cambio delle loro terre.

Pur di ottenere ciò che l’azienda brama, Butler e la collega Sue Thomason (Frances McDormand) giungono nella cittadina di McKinley e cercano di rendersi simpatici alla popolazione grazie a gesti ed espressioni amichevoli, così da facilitare le numerose compravendite dei terreni dai quali estrarre gas naturale.

Se inizialmente il clima è disteso, man mano il malcontento serpeggia tra la gente, costringendo i due rappresentanti a cercare delle vie alternative per portare a termine il proprio compito, scontrandosi (non solo a parole) con alcuni cittadini intenzionati a boicottare il progetto.

Pellicola interessante, seppure meno incisiva e più politically correct rispetto ad altre opere di Van Sant, Promised Land mette in luce una questione spinosa come quella delle lobby petrolifere, senza affondare il colpo e mantenendosi per certi versi più imparziale di quanto fosse lecito aspettarsi dal regista di Milk e Will Hunting, noto per il suo cinema privo di falsa retorica ed ipocrisie.

Nonostante non si tratti del miglior Van Sant, questo film merita una visione per la particolarità dell’argomento trattato e per le prove attoriali di buon livello.

Promised Land

Non considero Promised Land un’occasione sprecata né una battuta d’arresto, quanto invece un film relativamente coraggioso, che non osa spingersi oltre certi limiti, forse anche per paura di ritorsioni delle lobby, che hanno cercato a più riprese di boicottare la pellicola in questione.

Il fracking è un argomento che molti di noi ignorano, abitando a migliaia di km dagli USA, ma si tratta di una realtà drammatica presente anche in Italia, che probabilmente questo film vi invoglierà ad approfondire, informandovi al riguardo.

Se vi piace Van Sant mi sento di consigliarvene la visione, purché non abbiate aspettative troppo elevate.

Altro consiglio spassionato che vi do, se ancora non avete avuto il piacere di farlo, è quello di recuperare il precedente L’amore che resta (Restless), delizioso e toccante dramma nel quale emerge con forza la grande capacità narrativa ed empatica del regista originario di Louisville, abilissimo nel raccontare con il giusto piglio una storia di amore e malattia che lascia davvero qualcosa allo spettatore.

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