Solo Dio perdona: a Bangkok fra vendetta e (non) redenzione

E’ uscito questo weekend Solo Dio perdona, l’ultima opera di Nicolas Winding Refn, regista danese noto al grande pubblico a partire dal 2011 dopo il successo ottenuto nelle sale con il suo ottavo film (il primo di impronta hollywoodiana), Drive.

Non c’è però da farsi ingannare dal furbo ed esaltante trailer. Se le aspettative puntano ad un prodotto simile alla pellicola precedente c’è da mettersi il cuore in pace: Solo Dio perdona ritorna al minimalismo narrativo della trilogia Pusher con quel tocco onirico e surreale già visto in Valhalla Rising. Uno stile molto soggetto ad impressioni ed interpretazioni e, come tale, vincolato a gusti molto personali.

Solo Dio perdona

Il solo punto palesemente in comune tra le due pellicole è Ryan Gosling, unico espediente mainstream all’interno di un film decisamente anti commerciale.

Il nostro belloccio dallo sguardo glaciale questa volta si trova a Bangkok nei panni di Julian, succube e tormentato secondogenito di una famiglia criminale americana che, in collaborazione con Billy, lo psicopatico fratello maggiore, spaccia droga e gestisce una palestra di thai boxe.
Quando Billy, dopo aver ucciso l’ennesima prostituta, attira su di sé le attenzioni delle corrotte forze dell’ordine locali le cose iniziano a complicarsi.

Julian è spinto dalla madre, ammaliante matrona dallo stile spietato e manipolatore, a vendicare il fratello uccidendo il poliziotto in pensione Chang, vero protagonista e forse Dio del titolo, una sorta di “angelo vendicatore” che a colpi di spada e spettacoli di karaoke magnetizza la polizia thailandese e se ne pone a capo.

Solo Dio perdona

I riferimenti di Refn sono piuttosto palesi: ad un assieme di elementi in superficie insipidi il regista danese aggiunge richiami allo spaghetti western (da notare l’omaggio a certi titoli-slogan nostrani come “Dio perdona… io no!” di Colizzi) ma anche ai film di genere asiatici in cui le tematiche di vendetta, onore e famiglia sono preponderanti.

Solo Dio perdona prosegue lento ed inesorabile così come Refn ed il suo cinema nordeuropeo ci hanno abituati. Niente guizzi narrativi o colpi di scena particolari: non c’è nessun climax, nessuna catarsi, nessuna parabola di violenza ad eccezione di brevi e sopportabili episodi.
I personaggi eseguono con surrealismo i ruoli imposti all’interno della loro realtà, fra giustizieri e giustiziati, e solo Julian pare incapace di trovare il suo posto diviso fra morale e violenza, fra rabbia e fallimento, fra solitudine e rinuncia.

Solo Dio perdona

Infine se la storia può annoiare (comprensibile!) non si rimarrà certo delusi dal comparto estetico, sempre raffinato e ben calibrato. Ottima la fotografia di grandissimo impatto che gioca tra perfetti contrasti di colori caldi e freddi, componente perfetta per esaltare il lato psichedelico e kitsch della scenografia interna.
Menzione finale alle musiche di Cliff Martinez.

Vogliamo dare un’occasione a Solo Dio perdona? Nel caso portatevi in sala una coperta, potrebbe scapparvi un eventuale e caldo riposino serale.

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