Ammaniti è uno di noi, figlio di Lansdale, Palahniuk e del Dio Pulp. “Ti prendo e ti porto via” è un insieme di sentimento, cinismo, violenza, filosofia e disperazione, il prodotto più crudo e pregiato che potesse mai venir fuori da un giovane autore quale Ammaniti.

Figlio di un genere ghettizzato nella nostra italietta persa nel pieno declino culturale, dove bisogna pescare necessariamente all’estero per leggere qualcosa di buono.

Oltre ai mostri sacri della nostra letteratura nera, quali Pinketts, Carlotto e Lucarelli, anche questo autore merita più di un semplice riconoscimento (Premio Strega 2007 con “Come Dio comanda”) e più di due trasposizioni cinematografiche (“Io non ho paura” 2001; “Come Dio comanda” 2008).

L’opera in questione è scritta quasi ad episodi, distesa su centinaia e centinaia di capitoli è capace di avvolgere il lettore, catturandolo e mostrandogli la storia sotto il punto di vista di tutti i personaggi chiave che sono “disegnati” egregiamente. Uno stile semplice e fluido rende il tutto più visibile alla mente del lettore, i dialoghi sono più che reali, quasi “Tarantiniani”, senza nulla togliere al profilo psicologico dei protagonisti curato perfettamente nei minimi particolari.

Davvero complicato trovare un difetto a questo libro che non appare per nulla lungo, per nulla noioso, grazie all’intrecciarsi di storie che tornano tutte su un unico punto, tutte su un’unica soluzione finale che sa tanto di filosofia.

Un romanzo da leggere, un’ottima lettura per gli amanti del genere, una piacevole sorpresa per il lettore medio. “Ti prendo e ti porto via” merita un posto sullo scaffale più bello delle nostre librerie.