True Detective – Stagione 1, le pagelle di Andrea Rilievo per SugarDAILY, il blog di Sugarpulp. Attenzione: CONTIENE SPOILER
SOGGETTO_VOTO 7.
Bisogna riconoscerlo, gli ingredienti sono di ottima qualità. Nic Pizzolato, (creatore e redattore dello script), rispolvera le serie antologiche (Leggasi: serie in cui ogni stagione cambiano protagonisti e trama. L”ultima apparizione in tv del fenomeno risaliva agli anni ’60, ma dopo True Detective è arrivato, a ruota, Fargo). Poi trafuga qui e là dalla letteratura un’abbondante dose di horror filosofico, sopratutto dall’autore Thomas Ligotti, ma anche da Ambrose Bierce e Robert W. Chambers (nel romanzo Il Re Giallo, di quest’ultimo, troverete quasi tutti i contenuti del plot). Scolpisce, per i due protagonisti principali, due characters perfettamente archetipi e sincronizzati fra di loro. Arruola un regista giovane e talentuoso, e un music maker che, a 67 anni suonati, non ha ancora fatto un passo falso in carriera. Ne esce un prodotto iper-farcito, se pur inficiato da qualche evidente vizio strutturale. Durante la messa in onda dell’ultima puntata della prima stagione, lo streaming è stato interrotto, per l’incredibile numero di richieste di accesso alla rete, mandando in tilt i server della HBO. WELL DONE, MAN.
REGIA_VOTO 7 e 12.
Angolature improbabili e innovative (lo specchietto dell’auto a grandangolo forse è un po’ abusato, ma i giochi di luce e di prospettiva che ne escono sono decisamente validi). Piani sequenza che andrebbero catalogati nella categoria quoziente di difficoltà mostruoso, per il numero di soggetti coinvolti e i fatti che accadono in scena contemporaneamente (la rapina nella casa degli spacciatori, compiuta da Rust e il vecchio collega motociclista, è una perla stilistica). Campi e controcampi raffinati e intensissimi, a incorniciare le dense discussioni in macchina dei protagonisti. Cary Fukunaga (ci ricordavamo di lui, forse, solo per Jane Eyre) fa un lavoro incomparabile, ipotecando la direzione di qualche filmone hollywodiano. Gran parte dell’effetto dipendenza, di True Detective, è merito suo. MAGIC TOUCH
SCENEGGIATURA_VOTO 5.
Se pur la scelta di location, ambientazione e protagonisti è pregevole, non si può lasciare tutto il resto al caso. I profili psicologici dei due detective, ben premeditati, funzionano parecchio, finché si tratta di costruire un presepe mentale di icone dark. Ma sono estremamente poveri, rispetto a tutte le altre relazioni che li circondano (Quali son i motivi del difficile rapporto di Marty con la moglie? Cosa prova davvero Rust per la figlia e il padre? Che storia ha percorso il suo dolore? Come è cresciuta la sua iperbole di pessimismo disincantato?). Le discussioni in macchina fra i colleghi sono effettivamente dei pezzi di alta analisi dell’inconscio collettivo, ma, il fatto che non si concretizzino in dinamiche causa-effetto con un barlume di veridicità, fa di loro un mero store di citazioni, buone solo per postare sui social-networks. Proprio loro, Rust e Marty ci appaiono prima nemici e poi fedeli compagni, senza che lo spettatore ne apprezzi le sfumature nel rapporto. E che dire di quella umanità sullo sfondo, perennemente all’ombra di nuvole tetre, alla quale non sembra riservata nessuna chance di redenzione? Davvero l’idea è solamente quella di dipingere un universo buio e raffinato, in cui scovare, a fatica, la luce? Tutto in grande stile, insomma, ma attenzione a farsi troppe domande: si rischia di non trovare risposte. IL RE GIALLO È NUDO.
TRAMA_VOTO 4.
Questa è una prosecuzione della rewiev precedente, ma la dose va, nello specifico, decisamente rincarata. Due investigatori sui generis danno la caccia ad un serial killer, che risulta essere una persona emarginata, disadattata, sfigurata. Protetta per troppo tempo dall’omertà della comunità di cui è stata vittima. Tutto qui? Perdonatemi, ma è troppo prevedibile. Nessuna storia parallela, nessuna deviazione fuori pista (d’accordo, l’ipotesi che Rust sia l’assassino mette una punta di pepe, a 34 dello svolgimento, ma nessuno ci crede per più di 15 minuti). Nessuna co-partecipazione dello spettatore alla traduzione degli indizi, nessun effetto ribaltamento. Solo un po’ di smarrimento, per il sovraffollamento di personaggi e la doppia linea temporale, nelle prime puntate. Decisamente troppo poco. CERCASI INTRECCIO DISPERATAMENTE.
FOTOGRAFIA E COLONNA SONORA_VOTO 7 e 12.
Spazi aperti, umidità, capanni. Rimesse, abitazioni di fortuna, garage, chiese diroccate. Campi, distese di coltivazioni. Verde, tanto tanto verde. E poi T. Bone Burnett che, da esperto curatore musicale (è stato produttore di alcuni album di Costello, Robert Plant e U2) fa un lavoro egregio con la colonna sonora. Le note di sottofondo sembrano uscire spontaneamente, come un fenomeno naturale, dagli scorci di una Louisiana che è esattamente come nell’immaginario di chi non l’ha mai conosciuta. L’effetto video-audio riempie i sogni di presagi e gli occhi di filtri alla Instagram, che conducono dritto dritto in un universo dove la vita è lasciata al caso, e le passioni degli uomini al destino. La sigla Far From Any Road (degli Handsome Family) mette la ciliegina sulla torta e ti si pianta nel cervello, come chiave per rievocare alla memoria quel mondo stinto. SWEET HOME LOUSIANA.
MATTHEW MCCONAUGHEY_VOTO 8.
Il 2014 è stato il suo anno. Dopo essere stato considerato, per lungo tempo, uno degli uomini più belli del mondo, ha iniziato la scalata alla specie attori di talento nel 2013 con Dallas Buyers Club e The Wolf of Wall Street, e l’ha conclusa nel 2014 con Interstellar e True Detective. Dapprima relegato a ruoli stereotipicamente americani, tipo sparachetipassa, a 44 anni suonati è diventato, forse, l’attore più apprezzato del momento. In True Detective si cala perfettamente nella parte di Rust, detective filosofo. Anzi, fa molto di più: con devozione la arricchisce di espressioni, gesti, silenzi che ne aprono le prospettive. Il suo volto cambia, si ingrossa, si popola di smorfie, si scurisce e poi sbianca di nuovo, nei diversi passaggi del racconto. È lui che lo spettatore aspetta, appena prima di schiacciare play su una nuova puntata e subito dopo averla terminata. È lui quello per cui il pubblico (e non solo quello femminile) fa il tifo. È sempre lui, a farci disperatamente sognare un senso dietro la storia, anche quando la trama non lo ha, colpevolmente, previsto. LONLEY MAN SHOW
PERSONAGGI_VOTO 6 e 12.
Woody Harrelson negli ultimi anni era ricordato più che altro per i capitoli di Hunger Games e il discreto lavoro Now you see me, a cui ha preso parte. Qui, invece, dipinge un co-protagonista d’eccezione. Il suo personaggio, Marty, offre a Rust la spalla perfetta per i voli pindarici che segnano la serie, ed evoca, senza indugio, un cliché americano fatto di famiglia perfetta con gli scheletri nell’armadio, alcool e solitudine. Anche gli attori gregari si fanno rispettare. Michelle Monaghan (moglie di Marty) racconta con passione il dolore di una consorte ferita. Micha el Potts e Tory Kittles (i due detective di colore) si immergono perfettamente nella parte di quella polizia istituzionale che fa venire il mal di pancia. Tuttavia, lo abbiamo già detto, le loro storie evolvono troppo in fretta. La loro crescita psicologica è decisamente pasticciata e accusa mancanza di veridicità. UNIVERSI DI CARTAPESTA. Guarda il trailer ufficiale di True Detective su Youtube