Con Una stagione selvaggia si apre un ciclo, uno dei più entusiasmanti di sempre

Una stagione selvaggia

Titolo: Una stagione selvaggia
Autore: Joe R. Lansdale
Editore: Einaudi
PP: 192
Prezzo: 11,00

Ok, lo sappiamo, Lansdale è una forza della natura e questa recensione sembrerà, a tutti i suoi lettori, a dir poco tardiva. Ciò non toglie che valga la pena tornare su quella che è la prima avventura della più squinternata e delirante coppia di detective della crime fiction, inventata dallo scrittore texano.

Parliamo di Hap Collins e Leonard Pine. Ma parliamo anche di una storia che mette in luce uno stile costruito su eleganti descrizioni, capaci di tratteggiare in modo vivido ed efficace un Texas sporco e ghiacciato, abitato da una razza umana bastarda per natura. E poi un intreccio apparentemente semplice e prevedibile va ad esplodere in un finale che è un’escalation di violenza e tradimenti.

Mescolando il sogno americano andato in frantumi con gli spettri degli anni ’60 – il pacifismo, le rivoluzioni studentesche, i movimenti radicali, il folk, il power flower – e patinando di idealismo da supermarket una caccia al tesoro che prevede il recupero di un milione di dollari nel letto di un fiume ghiacciato; Lansdale dà libero sfogo al proprio selvaggio talento narrativo, combinando uno humour corrosivo con caratterizzazioni di personaggi originali ed indovinati e dialoghi che sembrano uscire da un film di Sam Peckimpah.

Spietato, pulp, con un tiro micidiale, una trama che è un crocevia fra un lento blues sotterraneo e una sfida all’ok Corrall, Una stagione selvaggia è un romanzo manifesto, il punto di partenza ideale per spararsi in vena tutta la saga piena di zanne e artigli di Hap e Leonard.

Troppa grazia.