Chambers, la serie paranormale di Netflix con Uma Thurman, è un’occasione mancata che farà felici soltanto i fan di The OA.

All’ultimo Salone del Libro chicchierando con il nostro presidentissimo Giacomo Brunoro si parlava di come fosseda tempo che non vedevo una serie di una bruttezza commovente stile The OA.

Detto fatto Netflix ha reso disponibile il suo nuovo horror Chambers che, nonostante un iniziale e breve coinvolgimento, nella seconda metà svacca che è una meraviglia: proprio come piace a me.

Eh no, non sono masochista, sia chiaro, è che quando incappo in questo tipo show non posso fare a meno di portarlo alla fine per vedere dove gli sceneggiatori – se tali possiamo definirli in questo caso – vogliano andare a parare.

Proprio come in The OA il principale punto debole è voler mettere troppa carne al fuoco: Chambers è un horror con molti elementi paranormali ma è anche un drama ed un mistery, semina suggestioni che spaziano dal new age allo sciamanesimo, dalla magia nera alle sette passando per le droghe psichedeliche in un bel calderone nel quale mi sono trovato a sguazzare per ben 10 puntate.

Diciamolo: la storia, pur non essendo originalissima è di per sé intrigante. Sasha Yazzie (Sivan Alyra Rose) giovane diciassettenne di origini Navajo ha un infarto e viene salvata in extremis grazie ad un trapianto di cuore. Col passare dei giorni scopre di aver ereditato ricordi e memorie della donatrice, Becky, una ragazza altolocata la dinamica della cui morte non è ben chiara. I genitori di quest’ultima, Nancy e Ben Lafevre (Uma Thurman e Tony Goldwin), membri di una specie di setta new age, cercano di colmare la loro perdita dando a Sasha una borsa di studio nell’esclusiva scuola frequentata dalla loro figlia.

Inizialmente ci si lascia anche prendere: l’ambientazione nelle riserve indiane tra Arizona e New Mexico è suggestiva e inedita; il cast sa il fatto suo ed in parte tiene a galla le prime puntate un po’ carenti di ritmo grazie alla giovane e promettente protagonista e ad una Uma Thurman perfettamente in parte nei panni della madre inconsolabile.

Col passare degli episodi però qualcosa comincia a scricchiolare, le linee narrative si moltiplicano verso un finale nel quale purtroppo si affastellano troppe incongruenze e nodi irrisolti.

Il più grande problema di Chambers è ancora una volta l’eccessiva ambizione di un progetto che per la smania di stupire finisce per sfiorare più volte il ridicolo tra stregoneria, visioni, rituali, cristalli e chakras. Quello che poteva essere un bel giallo paranormale diventa così un pasticcio indigesto con un finale con un bel cliffangherone che spero per il mio ed il vostro bene resterà tale.

Chambers è un pacco bello e buono, nulla a che vedere con Hill House, l’altro horror targato Netflix, perfetto esempio di come gli elementi soprannaturali e quelli drammatici possano essere calibrati alla perfezione.

Questa serie è una grande occasione persa per almeno quattro motivi: l’originalità della location, un cast da leccarsi i baffi, il tema intrigante della setta (che sembrerebbe ispirata a scientology) ed il buon lavoro di alcuni giovani e promettenti registi horror. Bastava una scrittura più attenta ai dettagli e meno pretenziosa, ed avremmo avuto un prodotto sufficiente: così non è stato.

Il mio consiglio è dunque quello di lasciar scorrere il menu di Netflix senza soffermarsi su questo Chambers. Tranne che non siate fan di The OA: in quel caso il problema non sono le serie.