Mine, intervista a Fabio Resinaro e Fabio Guaglione, registi di Mine, e a Matteo Santi, montatore del film. A cura di Corrado Ravaioli.

Un passo e sei morto. È la situazione estrema che si trova a vivere il soldato protagonista di Mine, finito con un piede su una mina durante una missione in Afghanistan. Il primo film di Fabio Resinaro e Fabio Guaglione, che insieme formano un sodalizio artistico nato sui banchi di scuola, è arrivato nelle sale preceduto da una serie di commenti entusiastici da parte degli addetti ai lavori. E ha trovato conferma nel calore che il pubblico sta dedicando alla pellicola. Abbiamo chiesto ai due registi di raccontarci come è nato questo piccolo grande film.

Intervista ai registi Fabio Resinaro e Fabio Guaglione, e al montatore Matteo Santi.

Ciao Fabio & Fabio e grazie per la disponibilità. – come nasce il connubio artistico Fabio & Fabio? – da dove arriva l’idea di Mine?

Fabio R: Ci siamo conosciuti al liceo scientifico di San Donato Milanese; eravamo nella stessa classe assieme al compositore delle musiche di tutti i nostri lavori e anche di Mine, Andrea Bonini. Fin da allora, forse per la scarsità di stimoli alternativi offerti dalla periferia milanese, ci siamo dedicati a diverse forme di narrazione. Prima il fumetto e poi, folgorati dalla visione del primo Matrix, abbiamo deciso di fare cortometraggi. Da lì, con tanta gavetta abbiamo percorso una tortuosa strada che ci ha portato fino al nostro primo Film.

Fabio G: L’idea di Mine è nata proprio in un momento in cui anche noi ci sentivamo in qualche modo bloccati professionalmente, su alcuni progetti che stentavano a partire. Quindi l’idea è, in qualche modo, metafora della condizione che stavamo vivendo in quel periodo, non solo umanamente ma anche professionalmente L’industria del cinema come un campo minato. Ovviamente c’è da dire che eravamo anche alla ricerca di un concept che ci permettesse di scrivere un film fattibile dal punto di vista economico e che potesse attirare l’attenzione di qualche attore importante.

Ho scoperto che esiste un film, Passo falso, che ha lo stesso punto di partenza. Ci sono altre analogie? Sempre a questo proposito, quando ho letto la sinossi ho pensato a No man’s land. Vi ha ispirato in qualche modo?

Fabio R: È vero che l’idea di base del film ruota intorno ad un concetto concetto cinematografico già sfiorato in qualche altra pellicola. Ma penso che sia il modo in cui noi abbiamo sviluppato questo spunto narrativo a rendere Mine un film molto originale. È chiaro che il nostro non è né un war movie ne un survival puro; per noi il soldato che calpesta una mina è un pretesto per raccontare quella metafora dell’uomo che è bloccato interiormente.

Fabio G: Quando ho scoperto dell’esistenza di Passo Falso, a giugno, mi è venuto un infarto. Sono corso a vederlo e fortunatamente è un film estremamente diverso da Mine sia per forma che per sostanza.

Quali sono state le maggiori difficoltà dal punto di vista produttivo?

Fabio R: Ogni fase di questa produzione indipendente ha presentato delle sfide. La prima è stata quella di arrivare ad una sceneggiatura solida che convincesse i produttori e che avesse le caratteristiche per fare salire a bordo gli attori giusti. Per quanto riguarda le riprese, Abbiamo dovuto avere a che fare con un piano di lavoro dalla tempistica molto serrata e dal punto di vista logistico girare tra le dune di sabbia presentava altre difficoltà. Infine, in postproduzione, è stata una sfida estenuante trovare il giusto equilibrio dei tanti elementi differenti che completano il film come si vede e si sente ora, anche perché questo tipo di prodotto si è inserito in una filiera che è solitamente abituata a lavorare su film molto diversi, perlopiù commedie.

Il cast vanta diversi volti noti, per gli appassionati di serie anglosassoni. Su quale base li avete scelti?

Fabio G: Dovevano essere bravi a recitare ed economici! (ride ndr)

Fabio R: Tom Cullen ci ha mandato il suo provino da Londra e abbiamo subito capito che aveva tutte le caratteristiche del nostro personaggio, dopo aver valutato innumerevoli altre possibilità che non ci convincevano altrettanto. Annabelle invece ci è stata caldeggiata dal produttore Peter Safran che aveva appena prodotto un film in cui lei era la protagonista, “Annabelle”.

Fabio G: Abbiamo iniziato a girare che il cast non era ancora completo, quindi dopo una lunga giornata di riprese e una sera di sopralluoghi, di notte guardavamo tutti i provini che arrivavano da Londra.

È vero che avevate preso in considerazione anche il protagonista di Mr. Robot?

Fabio R: sì, era arrivato nella short list per il ruolo di Tommy. Ma Armie (il protagonista, ndr) era troppo alto da mettere nella stessa inquadratura con lui…

Fabio G: In più Rami Malek ha un carisma molto particolare, mentre Tommy nel nostro film è un personaggio molto funzionale alla storia.

Dove avete girato e in quanto tempo? Difficoltà sul set?

Fabio R: Abbiamo girato a Fuerteventura, alle Isole Canarie, dove è presente un piccolo deserto di dune. Si tratta di Europa ma geograficamente siamo di fatto in Africa. Quindi ci sono stati diverse difficoltà logistiche; per esempio, tutto il materiale tecnico è stato spedito in anticipo via navi perché sull’isola non sono presenti dei rental di cinema. Poi, essendo un’isola, ovviamente l’oceano non era mai troppo lontano. Quindi molto spesso siamo stati costretti a modificare l’orizzonte digitalmente in post produzione, in molte inquadrature, per rimuovere il mare o qualche turista curioso che si proponeva nell’inquadratura.

Immagino che anche la fase di montaggio sia stata particolarmente delicata.

Fabio G: Moooolto delicata. La sfida era non solo bilanciare i livelli narrativi temporali ma anche e soprattutto tenere un ritmo che rendesse giustizia al concept e che al contempo non fosse mai noioso per il pubblico. Speriamo di esserci riusciti…

Fabio R: Come se non bastasse, c’erano anche diverse aspettative da parte dei produttori internazionali con i quali abbiamo mantenuto un dialogo costante per proteggere la nostra visione e, allo stesso tempo, creare un prodotto che non fosse autoreferenziale ma facilmente fruibile nei mercati. Il film ha sicuramente beneficiato di questo confronto con il loro punto di vista.

A questo proposito abbiamo chiesto a Matteo Santi, che si è occupato del montaggio insieme ai registi, qualche curiosità sulla post produzione. Il fatto di lavorare all’editing insieme agli autori è stata un’esperienza nuova per te?

Matteo S: Per me lavorare fianco a fianco al regista è fondamentale, non si perde tempo, c’è un confronto immediato, se posso scegliere preferisco lavorare così. Molti montatori non amano questo approccio, perché vogliono, in parte, fare “il loro film”, ma è un approccio che non condivido: il montatore deve essere di supporto al regista, proporre delle idee e delle soluzioni. E’ un modo per capire subito se una scena funziona, se stai rispettando la volontà dei registi, su un taglio, un’espressione piuttosto che un’altra, quanto tenere lungo un respiro. Ogni cosa in un film va valutata.

Quali sono state le maggiori difficoltà dal punto di vista tecnico? Tenuto conto del tipo di storia, la fase di editing deve avere un peso decisivo, soprattutto per mantenere alta la tensione.

Matteo S. Faccio un esempio pratico: nel film, durante la tempesta di sabbia, Mike si accorge che lo zaino gli sta volando via e conficca il coltello nella sabbia, bloccando la tracolla. In fase di montaggio, io e Fabio ci siamo accorti che nessuna inquadratura del coltello funzionava bene. O perché troppo fuori dall’inquadratura, o perché non abbastanza dinamica.

Questo è uno dei classici momenti di immobilità al montaggio, in cui l’orologio comincia a ticchettare più velocemente e devi risolvere la situazione. Alla fine, dopo circa un’ora, ho trovato un take in cui, alla fine di una ripresa, Armie sfilava il suo coltello, così ho avuto l’idea di prendere quel pezzo e metterlo al contrario e ha funzionato alla perfezione. Nei film queste problematiche succedono continuamente, bisogna ingegnarsi e trovare una soluzione. Ma dev’essere approvata dai registi, ovviamente. Un’altra difficoltà è stata la gestione dei tempi: quanto doveva essere lungo un determinato momento? Quanto ci mette Mike a fare quella mossa?

Torniamo a Fabio e Fabio. Cosa vi aspettate da questo film, a chi lo consigliereste? Lo hanno già inserito nella nuova onda del cinema italiano, insieme a Lo chiamavano Jeeg Robot e Veloce come il vento. Cosa ne pensate?

Fabio R: Ci aspettiamo che emozioni e che in qualche modo possa ‘fare pensare’ o discutere; ci sono molti elementi che si prestano a diverse interpretazioni.

Fabio G: Infatti è fighissimo leggere su internet le teorie che gli utenti stanno scrivendo. Ad alcune non avremmo pensato nemmeno noi!

Fabio R: Saremmo ovviamente felici es onorati se il nostro film confermasse o contribuisse all’affermazione di questa nuova ondata di film di genere, in cui dei bravissimi autori italiani si sono cimentati nell’ultimo anno.

Ora che il film esce nelle sale state lavorando a un nuovo progetto?

Fabio R: Sì, sempre.

Fabio G: Ora dobbiamo solo sopravvivere a Mine.

Negli States dicono “sky’s the limit” e visto che il film sbarcherà presto anche in America ci auguriamo che possa dare grandi soddisfazioni a chi, come Fabio e Fabio, porta avanti un’idea di cinema capace di coniugare elementi di genere con un’impronta autoriale.