La profezia delle pagine perdute, la recensione di Claudio Mattia Serafin del romanzo di Marcello Simoni pubblicato da Newton Compton editori.

La profezia delle pagine perdute, la recensione di Claudio Mattia Serafin del romanzo di Marcello Simoni pubblicato da Newton Compton editori.

  • Titolo: La profezia delle pagine perdute
  • Autore: Marcello Simoni,
  • Editore: Newton Compton
  • PP: 352

Continua la saga del mercante di libri, con un nuovo romanzo intriso di Storia, superstizioni e conturbanti vicende.

Un libro che parla di libri: doppia ricompensa.

Dopo i quattro precedenti volumi, La profezia delle pagine perdute (ambientato nel Regno di Sicilia in una soffocante estate del 1232) è un libro intenso, che in punto di cronologia si pone forse come un moderno spin-off delle trame precedentemente narrate; il punto di vista principale è affidato al figlio di Ignazio da Toledo, Uberto, il quale è giovane e interessante figura che sembra quasi vivere all’ombra del tipico genitore importante e carismatico.

Uberto funge da grimaldello ed è anche psicologicamente tormentato da vicende familiari, mischiate in via adrenalinica con l’indagine thriller classica, che vede peraltro al centro un’interessante leggenda.

Quest’ultima ha ad oggetto una misteriosa reliquia, un’Arca, donata a Makeda, Regina di Saba, dal Re Salomone (o forse sottratta?); tra i due si lascia intendere sia intercorso un rapporto diplomatico tra regnanti, e forse anche altro, in una sollecita e piccante sottotrama.

In questa ricerca il figlio di Ignazio è ostacolato da Michele Scoto, astrologo personale dell’Imperatore Federico II, carceriere della famiglia di Uberto, e da Pedro Gonzàlez, frate domenicano, antico avversario di Ignazio. Tali due figure chiave, durante lo svolgimento della narrazione, si pongono (piuttosto che caratterialmente spietati) come notevoli antagonisti immanenti e dotati delle proprie ragioni logiche.

Parallelamente l’Autore decide di spezzare la narrazione unica con il punto di vista di tale Al-Qalam, uomo senza passato imbarcatosi su una nave di pirati, di cui si preferisce non dire altro per lasciare il gusto della scoperta ai lettori. Questo episodio coevo e marinaresco ricorda il recente La colonna di fuoco di Ken Follett (Mondadori, 2017), altro testo in cui la densa narrazione politica presenta al suo interno un inserto esotico.

La struttura del romanzo e i precursori di Simoni

Simoni è autore dalla formazione classica e immette la sua preparazione certosina – da un punto di vista scientifico – nel testo, che quindi assume una forte valenza pedagogica: si può affermare che il lettore, perdendosi in un’altra epoca, abbia da imparare qualcosa a ogni piè sospinto.

Anzi: in ogni paragrafo (leggere per credere), i dettagli sono innumerevoli e gustosi. Il romanzo è diviso in quattro sostanziose parti (in ordine, Il viandante del mare, La danza delle ombre, Terre Lontane, Tesori nascosti), un prologo e un epilogo, un’utile nota accademica. E infine capitoli brevi e serrati, dai quali si può desumere quindi l’intenzione di Simoni di non distrarre e di arrivare “dritti al punto”.

La trama è di fatto già avviata in un altro momento del tempo, come se si venisse ammessi e poi immersi in un calderone bollente di vicende e fatti sociali: in questo senso questo volume ricorda moltissimo il classico Ivanhoe di Walter Scott, prototipo del romanzo storico (anche Scott corredava il testo delle sue decisioni – qui sono presenti le splendide illustrazioni in bianco e nero dell’Autore – e si calava in un’epoca assai distante dalla sua. Si veda a tal proposito la relativa edizione italiana di Garzanti del classico della letteratura).

Se è vero che – ahinoi – il noir, per quanto si sostenga la sua valenza sociologica, non offre un vero nucleo gnoseologico (se non la mera distrazione del fruitore dai dolori esistenziali), il noir storico invero compie il proverbiale miracolo, intrattenendo il lettore ed elevandolo a piani più elevati dell’esistenza culturale.

Di nuovo, il giallo commercialmente orientato non premia i giovani autori (ma solo appunto gli affermati autori del genere, da Carlotto a Carofiglio); meglio se la cavano gli scrittori di diari esistenziali e narrativa intimista, con tutti i limiti del caso (anche dal punto di vista dell’atteggiamento ritorto, contraddittorio e poco incline al compromesso). Ma la cosiddetta golden age del momento può essere senz’altro definita quella storica, delle tradizioni, del mito, dell’antropologia e del racconto arcaico. Il libro in oggetto, infatti, non è propriamente un romanzo storico (genere che di suo non si vergogna di angustiare il lettore con il dolore dell’Evento, si pensi tra tutti a Guerra e Pace), quanto piuttosto un romanzo d’avventura e di lontane suggestioni.

In questo senso, dato che l’Italia tutta sta attendendo la venuta del nuovo Umberto Eco (personalmente ho sempre pensato a Il nome della rosa come a un divertissement, più efficace nella sua nobile versione cinematografica che cartacea), i papabili sono tanti e tutti validi (Simoni, Massimi, Strukul, Buticchi), giustamente premiati da pubblico e critica, oramai pronta a superare il pregiudizio a lungo nutrito nei confronti della cosiddetta paraletteratura.

È anche vero che Simoni ha una carriera letteraria ed editoriale alle spalle e che quindi al talento unisce un notevole curriculum: a dieci anni fa (Newton Compton editori, 2011) risale il suo divertente Il mercante di libri maledetti, e da allora lo scrittore ha avuto una sua maturazione intellettuale (pubblicando anche con Einaudi), che si riflette in particolare ne La profezia delle pagine perdute, già disponibile in tutte le librerie (questa non è una recensione in anteprima: chi scrive ha potuto unire l’utile al dilettevole, godendo di un romanzo storico, didascalico nel senso pulp del termine, ove l’impianto nozionistico è una ricompensa quasi videoludica).

L’Autore ha infatti dimestichezza e particolare gusto per il gioco, per l’enigma (a forza di criticarla con un odio tanto sentito quanto immotivato, la spassosa era Dan Brown è oramai lontana: ne saranno felici i suoi ampollosi nemici), le giaculatorie, benché in questo volume abbia deciso di dosarle e dunque l’equilibrio è impeccabile.

Non ci si crederà, ma l’estate è un momento perfetto per atmosfere tetre, monasteri, ondate non di marea bensì di Storia (e storie): buona lettura.