L’estate breve, la recensione in anteprima di Maila Cavaliere del romanzo di Enrico Macioci pubblicato da Terrarossa edizioni.

L'estate breve, la recensione in anteprima di Maila Cavaliere del romanzo di Enrico Macioci pubblicato da Terrarossa edizioni.Nel primo giorno di primavera Terrarossa edizioni pubblica un libro che rinasce a nuova vita. Come spiega l’ autore Enrico Macioci nella prefazione de L’estate breve, il libro uscì per Mondadori nel 2015 con il titolo Breve storia del talento.

Ma L’estate breve è tutta un’ altra storia, come un mosto che col tempo e la fermentazione diventa vino. Infatti, continua Macioci, “i libri invecchiano. Basta sottoporne uno alla rilettura per verificarlo”.

E L’estate breve è un romanzo differente che, invece di subire le ingiurie del tempo, ne raccoglie occasioni e maturità, ripensamenti e nuove direzioni.
Dopo Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia e l’indagine dell’autore sull’infanzia del protagonista che si interseca con la storia pubblica di Alfredino Rampi, Enrico Macioci torna a scandagliare un tempo di mezzo, quello tra adolescenza e età adulta, gli anni in cui “perdiamo questa tragica, dolcissima pretesa d’ infinito” e lo fa attraverso la declinazione di due temi: scrivere e giocare a calcio.

Sono differenti prodezze, eppure si assomigliano: due ambizioni, due desideri, due modi di mettersi alla prova e di uscire da sé per incarnare un ruolo. Il perno sul quale si innestano entrambe le aspirazioni ha molto a che fare con il fallimento o con la possibilità che è poi, in fondo, la stessa cosa.

Dice a questo proposito Macioci: “ciò che crediamo è più importante di ciò che accade davvero, il mondo è in larga parte un prodotto della nostra fantasia, del nostro desiderio e della nostra paura. Il mondo è ciò che riteniamo possibile.”

E allora cosa può fare, quanto può fare la scrittura nella conservazione dei ricordi, nella loro sofisticazione, nella ricollocazione delle parole ricostruite dal romanziere? Egli, si sa, anche quando dice di scrivere di sé, come sappiamo, scrive sempre di un sé altro e menzognero almeno quanto Flaubert, scrivendo d’ altro, ammette “Madame Bovary c’est moi”.

L’importante è salvarsi

L’importante è salvare le storie, l’importante è salvarsi.
La vocazione a scrivere del protagonista è vissuta a lungo clandestinamente. La scrittura è considerata qualcosa di cui vergognarsi, come l’ autoerotismo confessato al parroco; le parole scritte a inchiostro sulle pagine sono il liquido seminale da nascondere nei fazzoletti o da liberare nello scarico del bagno, come uno sfogo momentaneo e compulsivo di cui non si può raccontare o che si deve negare se qualcuno lo scopre, salvo poi restare preda di una invincibile e colpevole coazione a ripetere.

Ma non è il desiderio sessuale che sancisce il passaggio all’età adulta e nemmeno quello di scrivere. Come già accadeva nel precedente romanzo, è nell’ incontro con la morte che il protagonista apre la porta al proprio presente di giovane adulto. È lì che si sbrecca ogni certezza, che si torna stranieri, che si apre la vera ferita, è lì che il bruciore del dubbio e dell’ impotenza alimentano l’ intima fragilità di ciascuno.

Uno sguardo nuovo

Da quel momento in poi, da quelle pagine in poi, il protagonista diventa grande e il suo amico bravo a pallone diventa il grande Michele. Uno sguardo nuovo si offre al lettore, uno sguardo che tutto ingrandisce, i problemi, le cose, e tutto frantuma.
Non è più il tempo di una memoria disgraziata e ingannevole. È il momento di declinare in minuscole frazioni le ore e i minuti, come la telecronaca di una partita, come l’ arrivo in un albergo da quattro soldi, come chi vive nella falsa semplicità del qui e ora, incapace di costruire nuove prospettive.

È il momento di creare mitologie consolatorie per procrastinare, per ritardare che è poi (lo sa bene il lettore) una delle poche attività in cui sappiamo eccellere.
Eppure la leva inconscia del ritorno solleva nel protagonista domande e ripensamenti: “Ho avuto le mie soddisfazioni, d’accordo. Non però quelle che desideravo da ragazzo. E men che meno delle dimensioni che auspicavo. (…) Non ho fallito e neppure sfondato. Mi sono installato in una sorta di limbo, una via di mezzo che a sedici o diciassette anni avrei aborrito e che mi sforzo di accettare senza la giusta convinzione”.

La seduzione del mondo adulto che in Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia si confronta con la coscienza collettiva ne L’estate breve indaga il luogo privato e ombroso del proprio fallimento, ontologicamente svelato “all’ apparir del vero” dell’ età matura.

Storie ordinarie di formazione e cambiamenti

Macioci, mentre tratteggia storie ordinarie di formazione e cambiamenti, sa dire con lucida coscienza che i conti che non sappiamo mai fare sono quelli con noi stessi e che, per evitare che l’ attesa si faccia pretesa, alla prima va sottratta la prepotente brama di essere ciò che mai si sarà.

E così Breve storia del talento genera ne L’estate breve l’autoritratto maturo e lucido di un uomo che comprende come, per entrare nella Storia, basti entrare nella storia di qualcuno e che, nel proprio spazio – tempo ritrovato, ad ogni modo “ogni atto davvero creativo cambia il mondo.”