Monica, la recensione di Matteo Strukul del film di Andrea Pallaoro con Trace Lysette in concorso alla 79 Mostra del Cinema di Venezia.

Che Andrea Pallaoro sia un regista italiano dal forte approccio internazionale è evidente, guardando un film come Monica, e si potrebbe dire lo stesso per Luca Guadagnino e Susanna Nicchiarelli. È confortante, francamente, che al Festival si possa apprezzare una simile crescita di autori italiani che permettono al nostro cinema di ampliare orizzonti e prospettive.

Venendo al film di Andrea Pallaoro, interamente girato in quattro terzi, la prima cosa che colpisce è la ricercatezza di inquadrature e fotografie, i giochi di luce, l’indulgere nei riflessi: è una pellicola che si presenta anzitutto con un gran gusto estetico, fin dal primo fotogramma. A questa eleganza formale si accompagna una gran felicità di scrittura.

Protagonista è Monica (interpretata magnificamente da Trace Lysette), donna transgender che torna, dopo molti anni di assenza, nella propria famiglia d’origine, per rimanere vicina alla propria madre nei giorni della vecchiaia, funestata da una malattia incurabile.

Il ritorno non è privo di conseguenze poiché comporta la ricostruzione progressiva di un rapporto fra genitore e figlio che non è per nulla semplice. E tuttavia Pallaoro riesce a raccontare il tormento e i conflitti in un modo magnifico, sussurrato, dolce, senza che la scrittura si crogioli in un’esibizione del dolore e dell’insicurezza.

Il suo, insomma, è un cinema di grande discrezione, dignità, cura, un cinema che denota una sensibilità rara nel trattare temi difficili, complessi senza per questo rinunciare ad avere anche affondi più apertamente drammatici come quando i personaggi si confessano e quasi si affidano all’indulgenza dello spettatore. Ma tutto questo viene raccontato con poche parole, monologhi parchi, asciutti, telefonate in botta e risposta.

Sono i volti e i corpi a narrare molto di più, evidenziando una felicità d’interpretazione che viene garantita anche da attrici di alto livello come Patricia Clarkson e Emily Browning, entrambe davvero stupende, per non parlare di Adriana Barraza che incarna la governante Leticia e che meriterebbe un oscar come miglior attrice non protagonista hic et nunc.

In un concorso principale che non ha ancora fatto vedere dei film davvero imperdibili, Monica si candida a pieno titolo per un premio importante proprio per equilibrio, toni, estetica e finezza. Non è poco, specie perché queste sono qualità tanto più rare in un cinema che ultimamente sembra voler urlare per farsi sentire o, peggio ancora, affermare una sedicente profondità senza comprovarla nei fatti.

In una rassegna fatta di molti maestri che sembrano aver smarrito la strada, Monica arriva come una ventata di freschezza e, senza rinunciare all’impegno e all’autorialità, rivela garbo e stile da vendere.

Chapeau!