Nordest Farwest è un romanzo di ottima fattura, coeso, con colpi di scena ben calibrati, personaggi riusciti e, in generale, un ampio respiro

Nordest FarwestTitolo: Nordest Farwest
Autore: Simone Marzini
Editore: Edizioni Biblioteca dell’Immagine
PP: 155
Euro:
 13,00

Gianni, Fulvio e Diavolina sono tre criminali di bassa lega che tentano il colpo grosso. Marlon Bianchi è un detective scalcinato a cui viene affidato un lavoro a prima vista semplice da una ricchissima megera.

Il vecchio Rover è il marito della megera succitata e vuole a tutti i costi togliersi un certo vizietto. Leika è una prostituta dell’est che spera di cambiare vita e fuggire dalle angherie del suo magnaccia Pavel. Zorro, intanto, combatte le nutrie del Brenta a cavallo del suo “destriero”.

Si farebbe un torto a chiamare il nuovo romanzo di Simone Marzini un Portello Pulp 2.0. Se da un lato Nordest Farwest riprende tutti gli elementi della sua opera prima, dall’altro sembra aggiornarli sì ad una versione superiore ma, continuando con la metafora informatica, patchandoli e upgradandoli fino a trasformare la materia prima di Portello Pulp in qualcosa di più complesso e sicuramente più adulto.

Nordest Farwest è un romanzo di ottima fattura, coeso,  con colpi di scena ben calibrati, personaggi riusciti e, in generale, un respiro più ampio che al divertissement Sugarpulp dell’opera prima aggiunge un piglio autoriale più visibile.

Se da un lato l’elemento comico/grottesco e i tagli cinematografici sono ancora ben presenti, dall’altro la profondità del testo (caratteristica che reputo fondamentale in qualsiasi produzione artistica) raggiunge un nuovo livello.

Detta in parole povere: con Portello Pulp Simone Marzini si stava sgranchendo le dita, in Nordest Farwest mostra con più decisione ciò di cui è capace la sua poetica. Ci troviamo di fronte ad un’evidente crescita che merita un’analisi più approfondita di quanto abbia fatto nella mia recensione di Portello Pulp. Per questo, credo sia utile per il lettore che io stili una sorta di breve mappa delle caratteristiche della prosa di Marzini.

Impianto corale. È una delle caratteristiche che il Nostro mutua e upgrada da Portello Pulp. Mentre nell’opera prima le fazioni in gioco erano quattro, ora salgono fino a cinque (i tre delinquenti, il detective, la signora Rover, il magnaccia/killer e il folle Zorro). Questo fattore, ovviamente, non implica un miglioramento in sé, ma mostra l’abilità del narratore nell’orchestrazione e l’equilibrio degli avvenimenti e delle scene, incapsulati in capitoli brevi con riferimenti orari precisi.

L’errore più comune, utilizzando questa forma, è l’emersione di una struttura evidente che trasformi il libro in una serie di vignette o set preconfezionati (vedi anche l’ultimo di Giordano, il banalissimo “Il Corpo Umano”). Se prima ho parlato di coesione è proprio perché in Marzini le scene scivolano abilmente l’una nell’altra con opportuni cliffhanger senza disequilibri fra una linea narrativa e l’altra. In Nordest Farwest gli elementi distintivi del genere (il deus -o diabolus- ex machina, lo scontro finale, la Tiche avversa) vengono rielaborati, interpretati e resi più credibili.

I low-life. Come in Portello Pulp, in Nordest Farwest i protagonisti sono criminali di bassa lega e, di nuovo, come  in Portello Pulp, essi sono costretti in larga parte a delinquere per uscire da una situazione senza via di scampo. Gianni e Fulvio, i due cognati, in particolare sono la rappresentazione del personaggio-tipo di Marzini mentre Diavolina (nomen omen?) è il mediatore tra la loro situazione di crisi e un possibile futuro di grandi speranze che passa però attraverso la via accidentata del crimine.

Come già detto, in Nordest Farwest l’autore alza un po’ la posta e lo fa anche con la costruzione dei personaggi, resi nitidi da uno studio psicologico che giustifica sempre le loro azioni. Insomma: non ci troviamo di fronte a maschere post-moderne o macchiette (il che non sarebbe comunque un problema: ci sono modi proficui di utilizzare anche la maschera) ma a figure a tutto tondo con una motivazione forte a cui ci si affeziona già dalle prime pagine.

In particolare, ho trovato molto riuscito il personaggio di Gianni, uomo tutto d’un pezzo che ha smesso la via del crimine, ma è costretto a ripercorrerla per una difficile situazione familiare. Gianni è un abile manovale e, a differenza dei suoi compari ha una testa che funziona, per così dire, e una morale (di impianto cattolico) che lo porta a spiccare per magnanimità, coraggio, immaginazione e cuore. Sarà lui, molte volte, nel romanzo a combattere con gli accidenti del fato avverso e l’inettitudine dei suoi compari e, credo, a lui è delegato il compito di creare empatia col lettore. Compito che svolge piuttosto bene, a mio parere.

Altro personaggio riuscito che “esce” dalle pagine è secondo me il detective privato Marlon Bianchi. Vi dico la verità: appena letto nome e professione del suddetto qualche pregiudizio me l’ero pure fatto venire. È ovvio che Marlon sia un calco dei famosi “occhi privati” presenti in tutta la letteratura che amiamo.

Marzini, però, grazie alla caratterizzazione del personaggio, riesce ad inscriverlo credibilmente nell’ambiente nordestino, aggiungendo una nuova figura all’ormai nutrita pletora di eroi Sugarpulp. Non uso la parola “eroe” a caso qui e più avanti leggerete il perché.

Struttura. Come già detto, il tempo di Nordes Farwest è scandito dall’orologio. La durata complessiva della trama è cinque giorni. Ovviamente le linee narrative, come d’obbligo e come il lettore si aspetta (e desidera, aggiungo, nel mio caso) si intrecceranno nello “scontro finale”. L’innovazione della struttura di Nordes Farwest è quella di creare un “mid-season finale”, cioè un punto a metà romanzo in cui le linee narrative raggiungono un picco, fondendosi o sovrapponendosi.

Ho sommamente apprezzato questo espediente formale, dato che spesso mi trovo ad affrontare romanzi la cui struttura è talmente evidente e scontata da rendere banale anche uno stile perfetto.

Una piccola variazione, invece, come accade in Nordest Farwest, riesce bene a creare un’ulteriore tensione al già intricato meccanismo della trama. Come per le serie tv che amo, mi è stato quasi impossibile posare Nordest Farwest e andare a far altro, come mi sarebbe impossibile scendere da un ottovolante in corsa.

Il consiglio che do sempre ai giovani scrittori che è questo: imparate le strutture base e acquisite esperienza con esse. Poi variatele e, soprattutto: ascoltate cos’hanno da dire i vostri personaggi a proposito. Io ho il mio modo di intendere la letteratura, diverso da molti altri che ritengono la trama fondamentale. Io credo invece che sia il personaggio che meriti un’attenzione particolare. La sensazione è che Simone Marzini abbia appunto “ascoltato” quello che avevano da dire i suoi personaggi e creato una struttura ad hoc per le loro esigenze.

La Tiche. Se in Portello Pulp prendeva le sembianze di una Zebra, la dea greca del caso in Nordest Farwest si mette i panni di Zorro, elemento distruttivo dell’ordine stabilito delle cose, archetipo dell’impossibilità umana di far fronte alla miriade di accidenti quotidiani. È un tema ricorrente nei romanzi Sugarpulp e si può riassumere con la frase “quando l’uomo fa progetti, Dio ride”. Solo Gianni e Marlon riescono in qualche modo a “torcere i crini alla fortuna” per trarre il meglio dal peggio e diventano, in tutto e per tutto, eroi (non più anti-eroi).

Una piccola riflessione personale, scaturitami tempo fa dalla lettura in simultanea di Portello Pulp e Incubi a Nordest di Alberto de Poli. I protagonisti dei romanzi Sugarpulp mi sembrano come i personaggi dei Dubliners di Joyce, se non altro per quanto riguarda i loro tentativi estremi di fuggire da una situazione e da un luogo che li costringe in una paralisi esistenziale.

La Dublino che descrive Joyce, fossilizzata in una morale di facciata e stretta nelle regole ferree di una religione diventata più rito che sostanza, mi sembra molto, molto simile al nordest dei romanzi Sugarpulp e, in definitiva, al nordest che vedo quando esco di casa.

In Nordest Farwest, in molti passi, si evidenzia proprio il desiderio dei protagonisti di andarsene da una terra cattiva, che li ha trattati male, che li ha prima resi prima schiavi e poi paria. La parabola della prostituta Leika è bastante a riassumere la situazione di tutto il carnevale di personaggi Manziniani, figli della crisi ma capaci ancora di covare un sogno di fuga.

È una riflessione un po’ amara, che si evidenzia in numerose prose contemporanee nordestine. Mi viene in mente ad esempio l’operaio senza volto di Santarossa nel suo “Viaggio nella notte”, che diviene vero e proprio epigono dell’impossibilità di fuggire dal nordest se non nel modo più terribile.

Riassunti questi elementi cardine di Nordest Farwest e della poetica di Marzini, mi rimane da dire che il libro, al di là delle mie elucubrazioni pseudo-narratologiche è un incessante pastiche da cui è difficile staccarsi, anche volendolo. Più che all’hard-boiled, il romanzo strizza l’occhio alla commedia all’italiana. Non quella dei rutti e delle scorregge dei mala tempora contemporanei certo, ma quella che ha reso grande il nostro cinema nel mondo: quella di Sordi, Manfredi, Tognazzi, Vitti… E perché no? Anche con un pizzico di Giovannona Coscialunga, che non guasta mai.

È strano e, da un certo punto di vista, illuminante creare un parallelismo fra i borghesi descritti dai maestri della commedia all’italiana e i piccoli criminali del genere Sugarpulp. Mi vien quasi da pensare che i borghesi di ieri, trasformati da anni di malgoverno (destra, sinistra o centro per il sottoscritto pari sono), impoveriti dalla crisi, abbandonati dalle certezze della religione, siano diventati i piccoli criminali Sugarpulp. È una riflessione en passant, che lascia il tempo che trova, ma mi ha fatto accendere una lampadina.

Per concludere, non scriverò la frase di rito “consiglio nordest farwest a chi”, spero che le mie parole siano state sufficienti a instillarvi un po’ di curiosità. Sono certo che Simone Marzini abbia nuovi assi nella sua manica e di questo me ne rallegro anzichenò: il ragazzo gioca dannatamente bene.