THE GIRL WITH THE NEEDLE (La ragazza con l’ago), la recensione di Silvia Gorgi del film di Magnus Von Horn in concorso al Festival di Cannes.

THE GIRL WITH THE NEELDE (La ragazza con l’ago), è una favola nera ispirata a fatti realmente accaduti, un dramma orrorifico nella Copenaghen degli anni Venti del Novecento.

Magnus von Horn porta sulla Croisette un film in bianco e nero che trova il suo apice nell’interpretazione di Trine Dyrholm, attrice non protagonista.

THE GIRL WITH THE NEEDL racconta le vicende di una giovane operaia, Karoline (Vic Carmen Sonne), che vive a Copenaghen in condizioni di estrema indigenza, sfrattata, trova una nuova squallida sistemazione in una soffitta e continua a lavorare in un’impresa tessile, mentre il marito risulta disperso, non se ne hanno notizie, dopo la fine della Grande Guerra.

Una fiaba nera

Il capo dell’azienda finisce per intrattenere una relazione con lei, e la lascia incinta, ma non mantiene la promessa che le ha fatto di sposarla, e così la giovane si ritrova in una situazione ancora peggiore, incinta, e con il marito che si rifà vivo, con il volto sfigurato, tanto da indossare una maschera che riproduce in parte il suo viso, e finire per essere accettato a lavorare solo in un circo.

In un bagno pubblico Karoline conosce una donna, e la sua bambina, che sembra volerla aiutare. Dagmar, all’ombra di un negozio di dolciumi, gestisce in clandestinità una sorta di agenzia d’adozione di bambini, fra madri indigenti e famiglie facoltose, bramose di avere neonati indesiderati.

Sembra la fine di un incubo, visto che oltre a consegnarle il suo bambino, Karoline inizia ad aiutare Dagmar nella sua attività, ma in realtà è l’inizio di un altro, perché si troverà di fronte a una serial killer.

Ispirato a una storia vera

Ispirato alla storia vera di colei che venne definita la “creatrice di angeli”, Dagmar Overbye, una danese che, fra il 1913 e il 1920, uccise tra i nove ei venticinque bambini, e fu condannata a morte nel 1921, il film di Magnus von Horn, ha dalla sua un’ottima fotografia, e una magistrale interpretazione di Trine Dyrholm (NICO 1988), una delle più brave attrici in circolazione, in grado di prendere in mano ruoli così al limite, difficili, con personalità piene di sfaccettature e che fanno della complessità psicologica il loro tratto distintivo, come poche altre.

Il punto debole è forse legato alla sua protagonista, che non lascia il segno, un po’ sottotono, in questa storia melodrammatica con cui Magnus von Horn, anche sceneggiatore, e vincitore nel 2015 della Quinzaine des Cineastes a Cannes ha dichiarato di voler esplorare la possibilità di essere buoni all’inferno.