Venezia75, un festival dalle mille sorprese. Continua il reportage di Silvia Gorgi, la nostra inviata alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Tra i film in concorso, la sorpresa è The Favourite, pellicola del regista greco Yorgos Lanthimos (The Lobster, Il sacrifico del cervo sacro), che porta sullo schermo la regina Anna-Olivia Colman, contesa fra la sua favorita, Sarah Churcill-Rachel Weisz, e sua cugina, Abigail Masham-Emma Stone, nobildonna caduta in miseria, che saprà conquistarsi la fiducia di questa regina insicura, sovrappeso, capricciosa, manovrata da chi le sta intorno, e dal passato assai sofferente.
Interpretazioni magistrali delle tre protagoniste Colman, Weisz, Stone. Chissà se arriverà anche una Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile. E, a proposito di donne, nel corso della Mostra c’è stata anche l’importante firma, da parte di Baratta e Barbera, della Carta 50/50×2020, già firmata a Cannes e in altri prestigiosi festival, sul tema della presenza femminile nel cinema, per la parità e l’inclusione nei Festival e nell’industria dell’audiovisivo.
Obiettivo raggiunto dall’unione della neonata WOMEN IN FILM, TELEVISION & MEDIA ITALIA, l’associazione WIFTM Italia e le colleghe di Dissenso Comune.
Alla firma era presente l’attrice Jasmine Trinca. In concorso tra l’altro quest’anno è prevista la presenza di un’unica donna regista, Jennifer Kent, australiana, nota per l’horror del 2014 Babadook, con The Nightingale, ambientato in Tasmania nel 1820, con protagonista una giovane donna irlandese in cerca di vendetta per l’assassinio della sua famiglia.
Un film riuscito a metà, che ha suscitato in uno degli accreditati stampa nella proiezione press un commento ad alta voce estremamente offensivo, un insulto sessista, che è stato punito con il ritiro del pass al soggetto e di cui parleremo più diffusamente in un pezzo ad hoc.
Poche registe, dunque, ma sullo schermo molte protagoniste assolute, a partire dal cast del film del regista messicano, Alfonso Cuarón, Roma, che è piaciuto moltissimo, fra i papabili per il Leone d’oro, e che racconta negli anni Settanta, un quartiere del Mexico, Roma, dal punto di vista di una famiglia borghese, o meglio della sua cameriera Cleo e della sua collaboratrice Adela, entrambe di discendenza mixteca.
Il vero e proprio cult della Mostra è stato presentato ieri ed è Zan (Killing) di Shinya Tsukamoto, autore giapponese già molto apprezzato a Venezia (in passato ha vinto il premio speciale della Giuria, ha vinto Orizzonti), che con una colonna sonora potente regala un po’ di follia e di estemporaneità, splatter, con questo film d’azione che dura ottanta minuti ma sembrano almeno il doppio :D, narra la sua storia di un giovane samurai, nella seconda metà del XIX secolo, periodo in cui i samurai si erano impoveriti.
Lui per conservare la sua abilità con la spada si esercita tutti i giorni con un contadino, e con la sorella del contadino c’è una sorta d’attrazione inespressa. Un giorno i tre vedranno un duello di samurai, e il suo vincitore cambierà i loro destini. L’abile ronin vincitore dai modi gentili resta nel villaggio per cercare potenziali guerrieri, ma tutto si complica quando arriva in città un gruppo di ronin fuorilegge.
Laureato in storia dell’arte, fondatore di un gruppo teatrale sperimentale Kaiju Theater (Teatro dei Mostri Marini), Tsukamoto sceneggia, gira, monta, fa praticamente tutto, e ha una fan community con uno zoccolo duro ben presente anche in Italia.