Mezza luce mezzo buio, quasi adulti, è l’ultimo romanzo di Carlo Bertocchi. Corrado Ravaioli l’ha intervistato per Sugarpulp MAGAZINE.

Mezza luce mezzo buio, quasi adulti. Intervista a Carlo Bertoccchi
  • Titolo: Mezza luce mezzo buio, quasi adulti
  • Autore: Carlo Bertocchi
  • Editore: TerraRossa edizioni
  • PP: 170

Romagna, anni ’80. Ultimi giorni di vacanza per Bert e il suo gruppo di amici. L’estate per i ragazzi volge al termine, tra una sfida in sala giochi e un’avventura a bordo di moto truccate, mentre Il paese segue con apprensione la caccia a un presunto omicida nella campagna circostante

Romanzo di formazione dal forte sapore nostalgico, Mezza luce mezzo buio, quasi adulti (TerraRossa) di Carlo Bertocchi, è una di quelle storie capaci di immortalare un momento della nostra vita e restituirla in maniera vivida, come una polaroid (per coerenza tematica).

Siamo dalle parti di Stand by me di Stephen King o In fondo alla palude di Joe Lansdale, per citare due riferimenti che mi sono saltati alla mente durante la lettura. Al centro della scena abbiamo un gruppo di adolescenti alle prese con i primi sgarbi, le schermaglie amorose, e la graduale scoperta dell’età adulta. Giovani diversi per carattere ma uniti dalla stessa linea di terra.

Bertocchi, con ironia e idee precise, ci immerge in un piccolo paese della bassa, dove l’estate porta con sé umidità e polvere, il bar è un’istituzione e la moto un feticcio da venerare. 

Chiunque sia cresciuto in un contesto del genere si troverà a sorridere con una punta di orgoglio pensando “ma questo è il mio paese!”. Allo stesso modo il libro colpirà anche il lettore meno avvezzo a questi scenari grazie alla capacità dello scrittore di restituire fedelmente l’epica della Provincia.

Come nei romanzi citati, l’arrivo sulla scena di un elemento destabilizzante, incarnato in questo caso dal fuggiasco, metterà alla prova i ragazzi aiutandoli a fare un passo deciso verso l’età adulta. Una lettura davvero piacevole, indicata non solo a chi vivrà questa storia in chiave nostalgica ma anche ai più giovani, grazie al suo spirito avventuroso e genuino. Garantito al limone (cit.) 

L’intervista

Ho rivolto a Carlo Bertocchi qualche domanda su questo esordio brillante, che ha ottenuto di recente la candidatura al Premio Campiello, sezione Opera Prima.  

 L’epica della provincia mi pare uno degli elementi forti del libro. Quanto ti sei divertito a raccontare i personaggi, con i loro soprannomi surreali, o le abitudini dei ragazzi? Immagino tu abbia attinto a piene mani dalla tua esperienza. Tu eri più nerd o scavezzacollo? 

Avrei voluto essere un nerd di quelli fighi o uno scavezzacollo di quelli fighi, ma ero un ragazzino troppo ben educato, timoroso, tendente a collezionare figuracce e, per contro e affermare una sua presenza nel mondo, sciocchezze a nastro.

Ma ero abbastanza carino e sveglio, e gli altri non erano poi così fighi. 

Me la sono cavata.

La provincia è un personaggio, ed è epica, se la vivi negli anni 80 al netto di ogni connessione odierna, una landa di niente e di tutto dalla quale venivi schiacciato o provavi a dominare.

Io ho avuto fortuna, avevo un grande gruppo di amici, non l’abbiamo dominata, ma ci siamo come fidanzati con lei.

Ti senti in debito nei confronti di qualcuno, come fonte d’ispirazione al romanzo? Quali sono i tuoi riferimenti?  

Sulla stesura ho un debito di riconoscenza (e competenza) con Cristiano Cavina, senza il suo input a perseverare a partire da una mezza pagina di un esercizio fatto con lui a lezione, il romanzo non esisterebbe.

Capita di ragionare delle fonti di ispirazione e mi sono convinto che il debito ce l’ho con l’humus nel quale sono nato, cresciuto e dove mi sono scontrato. Ho le mie preferenze in letteratura come nel cinema e nella musica, ma nessuno ha inciso in maniera determinante, in singolo. Forse è a causa della mia forma mentis; io interiorizzo tutto e poi sputo fuori, con un senso, ma senza riferimenti didascalici o precisi al punto da essere delle vere e proprie citazioni.

Il critico musicale Simon Reynolds ha coniato il termine retromania, a proposito della nostra ossessione per il passato. Un concetto che possiamo allargare a cinema e letteratura. Pensiamo per esempio al fenomeno seriale di Stranger Things e i suoi successori. Non è un caso che tra le note di copertina del tuo libro ci sia il riferimento a un feticcio degli anni ’80 come I Goonies. C’è un forte interesse per le storie che riguardano l’adolescenza degli attuali 40-50enni, per quanto poi piacciano anche ai giovani di oggi. Hai pensato anche a questo quando hai scritto il romanzo? 

In realtà non ci ho pensato, magari perché essendo della generazione che citavi non necessito della classica nostalgia dei tempi non vissuti che per noi infatti di norma era rivolta agli anni 60.

Per me gli anni 80 o 90 sono i miei tempi virtuosi e potenti, e raccontarne è un atto d’amore complesso ma molto fluido, io c’ero. Non c’è stato un movimento intenzionale verso una storia che picchiasse sulle operazioni nostalgia, tanto che il romanzo è molte cose ma direi che non è nostalgico, può essere a volte indulgente e altre severo, ma non nostalgico.

Cristiano Cavina e Marco Missiroli sono stati tuoi insegnanti, ci puoi raccontare un piccolo suggerimento che ti hanno lasciato e può essere utile ad altri scrittori in erba? 

Sono due insegnanti che definirei enormi, in modi diversi e per sensibilità diverse, preparatissimi.

È complicato estrapolare un singolo consiglio, i loro corsi sono un vortice continuo di conoscenza, ma se proprio devo estrapolare direi che l’unico identico che entrambi darebbero è quello di non tentare di somigliare a qualcuno.

A cosa stai lavorando ora?

Sono al mio terzo corso di scrittura, un approfondimento pazzesco, impegnativo, drenante.

Ho un paio di quaderni di appunti presi negli ultimi dieci/dodici mesi, credo li butterò e ripartirò da capo alla fine di questo corso, che, epidemia permettendo, finiremo a giugno. Comincio a sentire i polpastrelli che spingono, devo tenerli a bada ancora un pò e poi li mollo e vediamo se si divertiranno a pigiare sulla tastiera.