Il respiro del drago di Michael Connelly, la recensione di Fulvio Luna Romero per SugarDAILY, il blog di Sugarpulp
Nella storia di quasi tutti gli artisti, siano essi attori, musicisti, o scrittori, esistono dei periodi di flessione. Ad un certo punto diventa difficile mantenere la propria produzione a livello elevato, calano gli stimoli dettati dal successo, è necessario sottostare a tappe forzate di pubblicazioni… molte cose che possono portare ad inficiare la qualità del lavoro. La vera forza, poi, è nel riuscire a risorgere da questo stato. In pochi ci sono riusciti, perché quando la tendenza è al livellamento risulta difficile schiodarsi da un trend di decrescita (sembrano quasi concetti seri, vero?). Ecco, con Il respiro del drago Michael Connelly pare essere in fase di decisa risalita. Certo, il livello de Il poeta o Debito di sangue, La bionda di cemento è un altro. Ma Harry Bosch sta tornando quello di un tempo. Accanto alla produzione “legal” che è di buon livello, Connelly continua la saga di questo poliziotto di Los Angeles. Burbero e scontroso, ma agente di grandissimo talento. Con la sua casa affacciata verso la Valley e qualche buon cd in sottofondo, Harry ci guida in una storia che, nella sua ordinarietà, pare completamente fuori dal mondo reale. Una Los Angels in cui la mafia cinese comincia a mettere le mani sui grandi affari, è testimone di un omicidio di un immigrato asiatico. La polizia comincia ad indagare ed il caso finisce sul tavolo del nostro Bosch, alla “rapine-omicidi” di Hollywood. È un caso banale, forse una rapina finita male. O forse no. Perché mentre l’indagine progredisce, i contorni della vicenda sbiadiscono aprendo un quadro molto più ampio. Una frase di tutto il romanzo colpisce. Bosch che urla ad un criminale cinese: “L’hai messa sul personale”. Ecco, la chiave del libro, che spara una tensione esplosiva è tutta qui: un conto è uno scontro guardie-ladri. Diverso è quando questo scontro vede coinvolti gli uomini che impersonano questi ruoli, con le loro debolezze e i loro affetti. Il ritmo, come sempre, è un lento ed inesorabile incedere. Come tutti i romanzi di Connelly, il confine noir/thriller si assottiglia di passo in passo. La tensione si tocca con mano, la fame di vendetta si fa concreta. Qualcosa non funziona: molte soluzioni “americane”, qualche “volemosse bbene” di troppo. Ma complessivamente, come dicevo in apertura, Harry Bosch sta tornando. Ora mi dedicherò alla lettura dei due romanzi che seguono nella serie. A breve vi racconterò se è stata solo un’impressione o se, davvero, il talento di Connelly è tale che davanti alla flessione è riuscito a tirare fuori ciò che sa fare. Io propendo già per questa seconda versione! Grande Michael.
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