Transylvanian Chronicles, Transilvania Fury Road. Quarta parte del report di Matteo Strukul direttamente dal TIFF15 di Cluj-Napoca

Con il passare dei giorni mi rendo conto non solo di quanto conti per me la Transilvania, quasi fosse una malattia, un morbo dal quale non riesco e non voglio guarire ma anche quanto un festival come il TIFF ridisegni la mia percezione in termini di cinema.

Basta con la solita minestra

Transylvanian Chronicles, Transilvania Fury Road Film come The Nice Guys o Civil War sono davvero robetta, menate, la solita minestra, in particolare il primo è un’amara delusione, specie considerato che dopo trent’anni mi tocca vedere che Shane Black fa ancora una volta un film con una coppia di investigatori e delega a una ragazzina secchiona la soluzione di un caso scialbo e sgonfio come il film, che pure ha qualche lampo di bravura. Troppo poco.

Se penso a pellicole come 11 Minutes, film polacco confezionato in modo magistrale da un regista e sceneggiatore, Jerzy Skolimowski, che si supera in una costruzione narrativa che tiene incollati alla poltrona per un finale a dir poco deflagrante, ebbene davvero dico: Hollywood ti prego fermati, respira e rifletti… stai sbagliando tutto o quasi. Procuratevi 11 Minutes, guardatelo con attenzione, non occorrono 150 minuti per fare un gran film, ne bastano 90, serve una grande potenza narrativa, certo, un modo originale di costruire la storia, una serie di arc plasmati con attenzione, il talento di insufflare l’intensità emotiva un po’ alla volta e una serie di attori magnificamente diretti e tutto questo lo trovate in 11 Minutes, un film nel quale tutte le storie dei personaggi, apparentemente scollate fra loro, trovano una soluzione sconvolgente e quotidiana che spaventa, disturba e sconvolge… ma questa è la magia del cinema.

E potrei dire lo stesso per Afacerea Est, magnifica commedia nera rumena che inanella una serie di trovate sensazionali e racconta un viaggio a due picaresco e sgangherato con situazioni paradossali e incredibilmente divertenti che traggono la loro forza dal paesaggio polveroso e agreste di una Romania mai così selvatica, ruspante e sperduta. La giornata procede fra una Ursus Black e una zuppa di funghi talmente buona da risvegliare i morti, mi viene in mente che ambientare qui una seconda avventura di Alexander Weisz nell’Ottocento sarebbe spettacolare e dopo una cena da urlo, siamo in Piata Unirii a sperare che Giove Pluvio non ci allaghi perché le nuvole in cielo fanno paura.

Transilvania Fury Road

Invece, a parte la brezza fredda, combattuta con birre e giubba, parte sul giga-schermo Mad Max: Fury Road di George Miller e, saranno le atmosfere incendiarie del film, sarà il ritmo e l’action adrenalinica, be’ la pioggia non cade. E su questo mi pare giusto fare la riflessione delle riflessioni. Si fa per dire. Allora, ho visto questo film per la terza volta. E, lo ammetto, l’opinione sta cambiando. Cioè da un punto di vista visivo niente da dire ho sempre considerato Mad Max: Fury Road un capolavoro. Dire il contrario sarebbe disonesto intellettualmente. Ma non mi ha mai convinto in termini di trama. Giacomo Brunoro ha sempre ribadito la questione dello scenario e per certi versi ha ragione.

Devo dire che sentire parlare Iain Smith, il produttore della pellicola, mi ha aiutato a capire meglio alcune cose. Per esempio che George Miller non ha mai scritto una sceneggiatura perché non voleva che la produzione si formasse un’opinione sul film con ciò dando interpretazioni o consigli non richiesti che avrebbero potuto “contaminare” il suo film, quello che cercava di fare da vent’anni. Per questo Miller ha fatto realizzare uno storyboard con 5.000 panel o inquadrature. Zero sceneggiatura. Questo fatto non mi ha entusiasmato, anzi, però ho capito le motivazioni alla base delle scelte. Il che è sempre un’ottima cosa. Ho trovato profondamente illuminante ascoltare Iain Smith, uno dei più grandi produttori attuali (nel suo carniere anche Cold Mountain, Children of men, Wanted, The FIfth Element) in piazza fino all’una di notte che raccontava a un pubblico osannante aneddoti e backstories di Fury Road.

Di modo che, lo ribadisco, la mia opinione è in parte cambiata. Considero ancora la storia a tratti davvero troppo semplice e con alcune battute non centratissime, però è anche vero che il personaggio femminile di Furiosa spacca e che quello stare di Max quasi sullo sfondo è un bel bilanciamento in termini di significato del film: in un mondo di uomini che spingono la terra sull’orlo del disastro definitivo solo il ritorno delle donne può apportare quel cambiamento necessario a reintrodurre una sorta di ordine necessario all’autoconservazione. Insomma, per una volta sto rivedendo le mie posizioni: evviva, ne sono contento! E comunque, averne di film così!