“Bravo Agnul – Agnul è il mio nome, che poi sarebbe Angelo par furlan – ci hai portato due veneri”, mi disse l’avvocato Rodolfo. “Ecco a te, mille a pezzo più una mancia. Te la meriti davvero. Grazie”.
“No, grazie a lei dottore. Come sempre è stato un piacere lavorare per lei. Mi chiami quando vuole”, gli ho detto allungando la destra, mentre la sinistra afferrava il denaro.
Il dottore non mi strinse la mano, né allora né mai, ma io ho sempre saputo perché. Gli faccio schifo. E sinceramente fa ribrezzo a tutti dare la mano a chi fa un mestiere come il mio, questo lo capisco e l’accetto. Finché mi pagano va benissimo.
Quando sono uscito dal cancello della villa con il motocarro scoppiettante, mi sono fermato un duecento metri dopo. Ho parcheggiato l’Ape sul ciglio della strada e sono tornato indietro per vedere cosa fanno questi qui con la merce pagata a peso d’oro. Scavalco il cancello e vado dritto verso la villa. Un forte rumore di musica classica arriva alle mie orecchie, ma riesco a sentire come dei grugniti. Provengono dalla parte posteriore dell’edificio. Mi arrampico a una delle grondaie fino al primo piano, sbircio dentro la finestra, e vedo gli sporcaccioni, tutti e quattro, che si stanno scopando le due ragazze stecchite. Non riesco davvero a credere ai miei occhi, questi qui fanno un’orgia con i due cadaveri. Erano anni che sono dentro al mestiere e non l’avevo mai saputo. Non l’avevo mai immaginato. Che schifo.
Sono stato male e per un po’ ho rifiutato di lavorare. E’ passato del tempo prima di accorgermi che in realtà non fanno niente di male. E poi non sono fatti miei. Dopo due mesi ho ricominciato a rispondere alle telefonate, che a dire il vero non sono mai mancate. Lo so di non avere concorrenti. Solo io faccio questo mestiere a Udine e dintorni, e so bene che uno non va in giro con un cartello al collo con sopra scritto “Vendesi esseri umani morti”, per fare pubblicità al proprio mestiere.